Zefiriele Tomaso Bovio - Opera Omnia >>  Flagello de' medici rationali




 

cultura barocca testo integrale brano completo citazione delle fonti aforismi opere storiche e filosofiche in prosa e lettere o epistole

Si ringrazia  il sito CulturaBarocca.com e il prof B.Durante  per l'edizione elettronica di questo testo.
 
 
 

[INDICE MODERNO]


TITOLO PER ESTESO

DEDICATORIA

INCIPIT DEL FLAGELLO, OPERA SCRITTA SOTTO FORMA DI DIALOGO

L'HERCULE: MEDICINA DI ZEFIRIELE TOMASO BOVIO

L'HERCULE: METODO PER CONFEZIONARLO

L'HERCULE: PRODOTTO ALCHEMICO? - SUO RAPPORTO COL "VETRIOLO ROMANO" - MEDICINE UTILI CONTRO LA PESTE

IMPORTANZA DELLA CONOSCENZA DELL'ASTROLOGIA DA PARTE DEI MEDICI

COME REALIZZARE L'ACQUA DI "LEGNO SANTO" (GUAIACO), SALSAPARIGLIA, CHINA

LIMITI DEI MEDICI RAZIONALI NELLA CONFEZIONE DI QUESTE ED ALTRE MEDICINE

MERITI PROFESSIONALI DI BOVIO E DELLA CASATA BOLDERI

MODALITA' DEL BOVIO NEL TRARRE MEDICAMENTI DALLA SALSAPARIGLIA, DAL "LEGNO SANTO" CONTRO IL MAL FRANCESE (SIFILIDE - LUE): ALTRE TECNICHE DEL BOVIO NEL REALIZZARE SCIROPPI TERAPEUTICI

DIVERSE MODALITA' DEL BOVIO NEL CURARE LA SIFILIDE: CRITICHE AI MEDICI DI VERONA, GENOVA E SAVONA

IL "CAMEROTTO PER SUDARE": DISCUTIBILE IDEAZIONE DEI MEDICI RAZIONALI PER CURARE LA SIFILIDE

USO PERICOLOSO DEL CINABRO NELLE SAUNE CONTRO LA SIFILIDE

METODICA DI SUDORAZIONE IN USO CONTRO LA SIFILIDE AD OPERA DEI MEDICI DI PADOVA

METODICA DI SUDORAZIONE IN USO CONTRO LA SIFILIDE AD OPERA DI ZEFIRIELE T. BOVIO

ESPERIENZA, A SAVONA, DI ZEFIRIELE T. BOVIO SUI DANNI ALLA SALUTE CAUSATI DAL RAME DEGENERATO IN VERDERAME

PERICOLOSA TERAPIA CONTRO LA SIFILIDE DEL FRACASTORO ED ALTRI MEDICI: LE UNZIONI D'ARGENTO VIVO

MERCURIO, INTERNAMENTE ASSIMILATO, PERICOLOSO A GIUDIZIO DI Z.T.BOVIO NELLE TERAPIE, COMPRESA QUELLA DELLA SIFILIDE

DISCUSSIONE SULLA TIPOLOGIA E UTILITA' DELLE DIETE

DIBATTITO SUGLI SCIROPPI "DIGESTIVI" O "VOMITIVI": GLI "SCIROPPI SANTI" DEL BOVIO

DISCUSSIONE SUI TEMPI DI "DECOTTIONE" DI CERTE SOSTANZE

DECOTTI E TERAPIE DEL BOVIO PER RIDONARE IL SONNO E RIPRISTINARE L'APPETITO

CURA DEL "MALE DEL MATTONE" O "MALE DEL MOLTONE" SECONDO IL BOVIO

IL BOVIO ED IL PRINCIPIO D'AUTORITA': ARNALDO DI VILLANOVA E L'"ANTIMONIO"

CURE PRATICATE DAL BOVIO A BASE DI "ANTIMONIO"

ACCUSE DI INCOMPETENZA DEL BOVIO AVVERSO DUE MEDICI DI GENOVA

DISSERTAZIONE DEL BOVIO SUI FONDAMENTI DELLA SCIENZA MEDICA: I "VEGETABILI", GLI "ANIMALI" E I "MINERALI"

MODALITA' CON CUI IL BOVIO PREPARA IL SUO "ANTIMONIO"

PREPARAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DI ALTRE MEDICINE APPREZZATE DAL BOVIO: L'"HERCULE", LA "GRATIOLA", LA "SENA O SENNA", IL LATIRI, IL TARTARO, L'ELLEBORO NERO ECC.

ELOGIO DELLE MEDICINE CONFEZIONATE CON PRODOTTI DI ORIGINE LOCALE COME ELLEBORO E GRATIOLA

ELOGIO TERAPEUTICO DELL'"ACQUA DI VITA"

LA "QUINTA ESSENZA TERIACALE": L'ANALOGO PREPARATO DEL BOVIO E LE RAGIONI PER CUI NON INTENDE SVELARNE LA COMPOSIZIONE

LIMITATEZZA DEI MEDICI DI VERONA E GENOVA NELL'USO DEI MEDICAMENTI: LA TEORIA DELLE "TRE PIGNATTE" SECONDO IL BOVIO

NECESSARIA COMPETENZA DELLE ERBE CURATIVE E DELLE PIANTE OFFICINALI

GUARIGIONE, AD OPERA DEL BOVIO, DA UNA GRAVE FORMA DI GOTTA, IN GENOVA DI ANTONIO PALLAVICINO

DOVERI DEI PATIENTI: VITA REGOLATA E NECESSITA' D'EVITARE L'OPERA DI CIARLATANI E "FATTUCCHIERE"

USO DELL'ELEBORO NERO POCO APPREZZATO DAI MEDICI GENOVESI: IL TRAGICO CASO DI NICOLO' CEBA' DE' GRIMALDI

L'IXIA DEL CAMALEONTE: RIFLESSIONI SU UN MEDICAMENTO NON COMUNE





FLAGELLO
DE' MEDICI
RATIONALI
DI ZEFIERIELE ROMASO BOVIO
NOBILE VERONESE
NEL QUALE NON SOLO SI SCUOPRONO
MOLTI ERRORI DI QUELLI,
MA' S'INSEGNA ANCORA IL MODO D'EMENDARGLI,
& CORREGGERLI


[IN PADOVA, PER P.P. TOZZI, 1626
CON LICENZA DE' SUPERIORI


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AL MOLTO MAGNIFICO
SIGNOR CURIO
BOLDERI
SIGNOR MIO OSSERVANDISSIMO

Eccovi, Signor Curio mio, c'havendo finalmente, come già con V.S. divisai, ridotto in questo picciol libro il ragionamento del mal uso de i Medici antichi & amp; moderni sì nell'ordinar i Siropi, Decotti, Acuqe del legno, & amp; Salse Pariglie, come nella curatione del mal Francese, & amp; altre infermità incurabili, che gli anni adietro insieme facemmo; & amp; quello mandato alle Stampe hò voluto, ch'esca fuori ornato del nobilissimo suo nome. Ella dunque, come quella, che sà tutto ciò, ch'in esso discorro, esser l'istessa verità, potrà ripararlo dalle calunnie de' detrattori, & amp; de gl'invidiosi, de' quali se mai il mondo n'hebbe, hora n'abonda. Il che è stato cagione, ch'io hò lasciato il discorrere il meglio, ch'ella pur sà ch'io posseggo, cioè di trar tutte le sostanze da ogni vegetabile con le sue intrinseche forme, & amp; quelle ridurre in pretiosissima medicina atta a farne quasi miracoli. Tuttavia, s'io vedrò, che da i benigni, & amp; veramente dotti Medici (de' qualii Padova, Bologna, Venetia, & amp; altri luoghi d'Italia, n'hanno pur'infiniti) sia in qualche parte conosciuto il zelo, che m'hà mosso a descriverlo, io non sarò scarso di spiegare il modo assai facile ch'io tengo sì nel curar il mal Francese, come nel medicar le gotte, & amp; estirparle (il che par'incredibile) a i patienti con poco loro travaglio, pur che i soggetti siano, ò vogliano essere temperati, & amp; modesti. Nè le dico cosa ch'ella non sappia, & amp; che io non habbia fatta in diverse Città d'Italia in molti personaggi: & amp; specialmente nell'inclita Città di Venetia, frà gli altri nella persona del Clarissimo Signor Pietro Trivisano Consobrino del Serenissimo Duce, al quale glie le feci veder'in un Bacino, & amp; pigliar da lui stesso in mano: & amp; in breve gli ridussi le mani, & amp; le dita c'haveva grosse, & amp; piene di gomme à termine tale, che sua Signoria Clarissima disse, Lodato sia Dio, ch'io mi sento così sciolte, & amp; libere le mani, e le dita, ch'io potrei sonare di Arpicordo: & amp; un mese fà, io non poteva tagliarmi il pane. Et pur si ritrova esser vecchio di settanta anni; & amp; le hà portate molto tempo. Di che non mi lasciarà mentire (frà i molti, che vi si trovarono presenti) il Clarissimo Signor Gierolimo Diedo suo Nipote, & amp; mio singolarissimo Signore, & amp; amico. Riceva dunque in grado Vostra Signoria la presente mia fatica, insieme con la molta osservanza ch'io le porto; & amp; mi ricompensi con l'amarmi.

di Venetia à i 23 di Dicembre, l'anno 1582
di Vostra Signoria
Servitore & amp; amico cordialissimo
zefiriele Tomaso Bovio


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AL MOLTO
MAGNIFICO
MIO SIGNORE
OSSERVANDISSIMO IL SIGNOR
CURIO BOLDERI

Il Signore, & amp; Redentor mio Christo Giesù mi sia propitio, & amp; favorevole

Io non hò dubbio alcuno, che uscita in luce questa mia piccol'operetta, saranno alcuni poco intendenti, li quali per certa loro vana opinione alligata al suo Aristotile, in qualche maniera cercheranno con parole d'opprimermi, vedendo che io non mi sottopongo alla loro dottrina, per lo più rubbata, & amp; molte volte malamente da loro appresa: onde non voglio correr la lancia con la mala intelligenza ch'essi hanno de' non bene intesi libri d'Hippocrate, di Galeno, di Avicenna, di Rasis, di Mesuè, di paulo, di Cornelio, & amp; di altri, perche forse diranno Quis est hic, che ardisca di correggere, & amp; emendare gli ordini, & amp; instituti nostri?

Forse che non habbiamo conosciuto il Bovio in Padova, in Bologna, & amp; in Ferrara scolar di legge, & amp; hora ha preso ardire, come Medico, di fabricar nuovi Canoni, & amp; voler pervertire i nostri medicamenti per tanto lungo uso, & amp; da tanti scientifici, & amp; dottori in tutti gli studij, & amp; età approbati: ma lasciando io il parlar di questi tali, dico che saranno altri di più sano intelletto, & amp; retto giudicio, che conveniranno meco, & amp; sono pur essi ancora addottorati, & amp; collegiati, & amp; havuti in pregio dal mondo, & amp; che approveranno le traditioni mie fortificate con vivacissime ragioni, & amp; buone isperienze fatte, & amp; talmente stabilite che ragionevolmente non vi trovano emenda, come fanno tra gli altri, li Speciali Messer Francesco Calzolario dalla Campana d'oro, nella patria mia famosissimo in tutta Europa per le sue rare virtù, & amp; Messer Hippolito, & amp; Messer Marco Fenoni in Venetia huomini per età, & amp; valore di honorata reputatione, Speciali da i due Mori, Messer Francesco Teofanio di ottimo nome all'insegna del Dio Padre; che tutti confessano, & amp; attestano gli ordini miei essere eccellentissimi, per haverne eglino fatte le decottioni secondo le traditioni mie, & amp; vedutone felicissimi successi; però io poco curando la malignità de' i detrattori, che andando più lungamente penaranno con suo dispiacere, & amp; incommodo, & amp; abbreviaranno gli anni loro, prego la mia patria, e'l mondo a giustificarsi della verità ch'io son per dire, & amp; a seguirla: ma hora vengo hoggimai a dimostrarla.

Usando io spesso di trovarmi col gentilissimo Signor Curio Bolderi, venuta l'hora tra noi statuita, mi condussi al suo palagio, & amp; trovatolo con Platone in mano col quale stava passando il tempo, posti che fummo a sedere, egli mi disse. Ben Signor Bovio, siete pur venuto, conforme all'hordine di hieri, a scapricciarvi contra questi Medici.

ZEF. Così è per certo, che son venuto, & amp; in colera contro alcuni Medici particolari, i nomi de' quali voglio, che restino sepolti nel fondo del fiume Letheo per mio contento: perche non vollero acconsentire, che io dessi il mio Hercole al Signor Alberto Lavezuola, ancor che tutti insieme allhora confessassero ch'esso era morto, & amp; che al più tra otto, ò dieci hore essalerebbe l'anima come fece: al che non posso credere, ch'uno di essi s'opponesse a questo peraltro, che per haver io altra volta favorito il ragionevole discorso del Signor Annibale Raimondo Astrologo famoso, & amp; nostro Veronese nella materia di quella stella di cassipeia, per cui n'hebbe poi detto Raimondo anche querela grandissima con un Tedesco pur Medico, ch'alla fine si chiamò per vinto, non sapendo che più dirsi, & amp; costui s'oppose al voler mio; massimamente per la risposta ch'io gli diedi, essendosene egli di ciò doluto meco, la qual fù tale; Quando altri cercheranno contro il diritto d'offender ancor voi, io mi offero sempre per Padrino; ma non sia giamai vero, ch'io m'appigli per ostinatione ad oppugnar contra la verità per la malignità, ostinatione, perfidia,ò vana iattantia.

CUR. Gran perdita certo ha fatto la nostra Città del Signor Alberto, egli era ricco, era magnanimo, & amp; splendido, di assai honorata presenza, di belle lettere latine, & amp; volgari in prosa, & amp; in verso, & amp; nel consiglio della Città valeva molto con la sua buona mente, & amp; honorate operationi; & amp; in verità gli Academici fecero perfetta elettioni, quando lo pigliarono per padre dell'Academia, alla quale hà lasciato per testamento i suoi libri, che vagliono pur molta somma di denari, & amp; essi hanno fatto il debito loro ad honorarlo con belle essequie, come fecero.

ZEF. Io corro per il sessantesimoprimo anno, nè in mia vita ho veduto gentilhuomo più universalmente pianto di tutte le età, & amp; ordini, & amp; nelle essequie sue convenutovi maggior numero di persone: vi sono venuti gli Rettori, & amp; tutti gli altri Magistrati della Città; nobili, ignobili, & amp; mercanti, & amp; quasi tutto il popolo vi concorse, tanto era egli grato, & amp; amato da ogn'uno: I Poeti ò buoni, ò rei, che fossero, vi concorrevano a gara ad attaccar versi, & amp; rime in laude sua: si che il Conte Francesco Nogarola vecchio di ottanta un'anno volse anch'egli con molti elogi honorarlo: & amp; Messer Gio. Battista Pona medico, & amp; giovane di honorata aspettatione, gli fece l'oration funebre, & amp; quantunque io havessi buona opinione di lui, vinse però l'aspettatione mia con l'opera, che ordì, tramò, & amp; tessè benissimo, & amp; hebbe vero cosi belli, & amp; buoni concetti, come parole gravi, & amp; espressione vivace, con gesti, & amp; attioni convenientissimi, in modo che si puote ben dire, che ciò che si ha fatto nel funerale di questo gentilhuomo, habbia avuto gratia, & amp; insieme genio: il che prima che succedesse, veggendo io non poter soccorrere alla conservatione della sua vita, opponendomisi quelli Medici, forse così disponendo, overo almeno permettendo il primo Motore, e Rettor del tutto, me n'andai alla Chiesa del Paradiso, & amp; quivi pregai il Signor Iddio, che ricevesse in Cielo l'anima sua.

CUR. Veramente Signor Zefiriele, voi faceste da buono, & amp; leale amico: & amp; havete anco esposta la mera, & amp; pura verità di questo buon gentilhuomo: ma ditemi di gratia, che cosa è questo vostro Hercole, che havete detto che volevate dargli per rivocarlo da morte à vita?

ZEF. Questa è una mia Medicina, ch'io chiamo cosi, perche è solita superar le dure & amp; difficili malattie, & amp; infermità gravi, ma principalmente la peste, il >mal della costa, le petecchie, le febri maligne, come era questa sua, con che io hò levato più di seicento persone tra huomini, donne, & amp; fanciullini di uno, due, & amp; tre, & amp; quattro anni (per causa de' vermi) dalle mani de' beccamorti.

Frà quali Hieronimo mio fratello, era talmente ispedito, che lo volevano portar alla Chiesa. Io gli sopravenni, & amp; gli empij la bocca d'acqua di vita di mia mano in vasi di vetro, & amp; di buon vino, la quale gli fece tal operatione nel termine di due Miserere, che di morto stimato da tutti, lo ritornò in vita, percioche havendola essa tragiottita, ella gli sacldò interiormente di maniera il cuore, che prese moto, che prima non si sentiva. Indi gli diedi quattro grani di questo benedetto Hercole, & amp; poco dipoi un poco di brodo di polole, onde in breve spatio vomitò un catarro grande come un fegato di oca, & amp; di sopra & amp; di sotto mandò fuori sozzissimi escrementi, le quali furono principi della sua salute. Il giorno medesimo gli diedi anco a bere una grande quantità di acqua fredda, facendogliela revocar a dietro, co'l cacciarsi le dita nella gola, con i quali remedij presentanei, & amp; salutiferi, in tre giorni si levò dal letto, & amp; pochi giorni dapoi ritornò nelle sue forze di prima, le quali come sapete, sono tali, che pochi si trovano che lo agguagliano, ne forse v'è alcuno che possa superarlo, & amp; certo non è men buono di virtù d'animo, che si sia di forza & amp; gagliardia corporale.

CUR. Così è egli stimato, & amp; conosciuto; ma ditemi in cortesia, come fate voi questo vostro Hercole?

ZEF. Io, come quello che tengo honesta prattica di lambiccare, & amp; disgiunger, & amp; rifar'i metalli, saprei farlo anco migliore; ma nella maniera che hora lo faccio, riuscendomi egli sempre felicemente, ve lo dirò volentieri: io faccio un'acqua forte di salnitro raffinato a secco, levandogli tutto il grasso da dosso in questo modo: Prima lo pongo in una celata di ferro con buono, & amp; gagliardo fuoco sotto, & amp; lo faccio sciorre & amp; fonder bene, si che egli manda di sopra un certo schiumazzo negro: allhora poi gli getto dentro un carbone acceso; & amp; dipoi quello un'altro, & amp; quelli vanno scorrendo di sopra lambendo fino c'hanno consumato tutto il grasso: come lo vedo poi chiaro & amp; bello, lo levo dal fuoco lasciandolo raffreddare, & amp; cosi mi resta bianco come un marmo Carrarese: lo trituro dipoi, & amp; l'accompagno con tanto vitriolo sflemmato, ma non rubificato, quanto il peso di detto salnitro, & amp; senza dargli tempo, gli pongo subito in una storta ben lutata, & amp; quella metto nel suo fornello, & amp; nel recipiente, ove si hà da raccorre l'acqua forte, pongo tre oncie per libra delli materiali, di acqua di fonte, & amp; gli dò fuoco secondo l'arte, & amp; ne fine faccio uscirne gli spiriti valorosamente con lunghissimo fuco di vampa per sei hore almeno dapoi che non si vedono più fumi uscenti: delle quali cose tutte, il rendervene la ragione, & amp; dirvene il perche, sarebbe longa historia. Ripiglio poi quest'acqua, & amp; la ripongo in nuova storta ben lutata, & amp; per ogni libra d'acqua, vi pongo tre oncie di sale ben secco, & amp; benissimo chiuse le gionture, la faccio ripassare con gli suoi ordini, & amp; passa gialletta: ad una parte di quest'acqua, dò a mangiare oro purissimo, & amp; purgatissimo di cimento, a ragione di oncie una di oro, per otto oncie di acqua: & amp; all'altra, oncie quattro di Mercurio purgatissimo, & amp; l'acqua sia oncie sedici.

Poi raggiungo queste due acque pregne di oro, & amp; di Mercurio, & amp; le pongo in una storta co'l suo recipiente, benissimo chiuse le gionture, & amp; faccio passar le acque, & amp; poi crescendo il fuoco, una parte di questi compositi, oro & amp; argento vivo, restano precipitati: & amp; un'altra parte sublima nel collo della storta: ripignlio di nuovo il tutto, & amp; ripongo in nuova storta, polverizzate tutte queste due materie, & amp; vi ripongo la medesima acqua, & amp; di nuovo faccio ripassare, sempre benissimo chiuse le giunture con colola fatta di farina, calcina sfiorata, & amp; chiara di ovo: tal che non possi punto respirare: passata l'acqua, gli dò fuoco gagliardo a culo scoperto, ma bene anch'esso lutato per sei hore continue: lascio poi raffreddar'il vase, & amp; lo spezzo, & amp; nel fondo di esso trovo una materia di colore simile al zaffarano, & amp; nel collo parte sublimato, & amp; parte argento vivo: lo ritorno tutto nella medesima acqua passata, in nuova storta, & amp; come hò fatto la prima & amp; seconda volta, cosi rifaccio la terza, tal che all'ultima volta trovo quasi tutta la materia conversa in un bellissimo precipitato: & amp; se aviene, che il tutto non sia, piglio quel solo che è nel fondo, & amp; lo poverizzo, & amp; pongo sopra un vomero di ferro ben candente & amp; rosso, acciò che i fumi dell'acqua forte svaporino, mescedandovi sopra con un ferro; lavo poi & amp; rilavo questa polevere con acque cordiali di borragine, ò di citraria, & amp; lo asciugo; poi lo pongo in vase,ò di vetro lutato, in un corezzuolo con il suo coperchio ben lutato sotto il focolare della cucina per tre,ò quattro mesi, acciò si amichi bene al fuoco, & amp; scacciasi al possibile igneo: doppo lo cavo fuori, & amp; accompagno seco perle, & amp; corallo macinato, legno aloe minutissimamente trito, zaffarano, rubini, crisoliti, topazzi, hiacinti, smeraldi, tutti in polvere impalpabile, musco & amp; ambra a mia discretione; poi ne faccio pillole con zuccaro rosato, & amp; ne dò per bocca alle persone al peso di due, tre, quattro, cinque, sei, sette & amp; otto grani di frumento secondo le età, infermità, & amp; complessioni: & amp; lo dò per bocca alle persone al peso di due, tre, quattro, cinque, sei, sette & amp; otto grani di frumento secondo le età, infermità, & amp; complessioni: & amp; lo dò overo in un'ovo, overo solo, dandogli dietro un poco di brodo: & amp; questo è il mio Hercole miracoloso, discacciator de' vermi, domator del Malfrancese, delle petecchie, della peste, della febre quartana, & amp; di mille altre diaboliche, & amp; incurabili infermità.

CUR. Questo non è egli precipitato di Alchimisti?

ZEF. Egli vi ha una qualche simiglianza; ma non è d'esso; & amp; se Gio. di Vico lo usava così semplice, & amp; L'Eccelentssimo M. Francesco Fumanello Medico nostro Veronese al tempo della gran peste faceva con tal medicamento miracoli quì in Verona, come ho veduto in un suo trattato scritto a mano, mostratomi dall'Eccellente M. Lodo suo figliuolo, & amp; mio amorevolissimo amico; perche non potrò io usar'il detto precipitato con tanto bell'ordine, & amp; corretione accomodato? Quando la peste ci assalì qui in Verona già sette anni, la nostra casa fù delle prime a sentir'il male, & amp; ad un mio nepote di cinque anni chiamato Claudio, venne un Carbone [gavacciolo, bubbone inguinale della peste] all'anguinaglia destra con una febre ardente, & amp; un svenimento di cervello di sgridar, & amp; parlar fuori di proposito; onde il giorno seguente (ch'io lo haveva mandato in Villa come in Rocca Franca) avisato da miei, me n'andai a lui, & amp; diedegli una pilloletta di tal medicina con un poco di brodo, dietro la quale in breve gli fece scaricare di sopra, & amp; di sotto una materia oltre modo fetente; indi ad hore quatro, gli posi un'empiastro sopra l'anguinaglia di radice di altea, oglio laurino, & amp; un torlo di ovo, fatto di mia mano: il Carbone si ruppe in quaranta hore, & amp; con la gratia del Signor Dio, il nipote fù salvo. Io, li due giorni seguenti, per ogni miglior rispetto purgai tutta la mia famiglia, & amp; me stesso con questa medicina. Presi vitriolo Romano a ragione di una dramma per huomo, & amp; lo sciolsi in acqua commune, & amp; mele parte equali decotti insieme, & amp; con questa bevanda si purgammo lo stomaco, & amp; il ventre, & amp; Dio gratia tutti fummo salvi.

CUR. Il vitriolo Romano dunque è medicina per bocca? Io l'haverei stimato veneno.

ZEF. Questo medesimo mi disse il Medico Lando. Ella è medicina in questo caso di peste, & amp; di mal di costa ancora, & amp; è di modo medicina, che io ne feci bere quell'anno dieci libre, che porta il numero di mille persone: & amp; pure si sà, & amp; puote vedere ne i libri del conto de gl'infermi & amp; morti, de' quali si teneva minutissima cura nell'officio a ciò deputato, che non morirono sotto il governo mio più che undici persone, le quali, o tardi mi chiamarono al soccorso loro,ò si gettarono a letto sotto constitutione celeste mortale.

CUR. Ci sono dunque constitutioni del Cielo, sotto le quali una persona infermandosi, conviene che muoia?

ZEF. Come se ci sono? gli Astrologi, i Medici, & amp; i Theologi in ciò convengono; ma avertitie, che quando io parlo d'Astrologi, Medici, & amp; Theologi, intendo di quelli che sanno, & amp; sono scientifici; però che molti sono, che fanno professione delle scienze, & amp; pochi le possedono: ne ho conosciuti io infiniti, che fanno professione di Astrologi, di Chiromanti, di Fisionomi, & amp; di Neomanti, le quali ultime professioni, perche sono fallaci, rispetto dell'ignoranti, & amp; non sono bene intese, però la Santa madre Chiesa le hà del tutto annullate, & amp; prohibite: appresso a questa sorte di persone, conosco anco molti medicastri, quali hanno sempre in bocca Hippocrate, Galeno, Avicenna, & amp; altri, nè mai lessero la quarta,ò decima parte dei libri scritti da questi, ò quelli: & amp; ne conosco anco le centinaia, che non sanno, che Hippocrate iscrivesse un libro a' Medici, che insegna loro le constitutioni del Cielo atte, & amp; inette alle operationi Medicinali, si del dar per bocca, come del cavar sangue: ce n'è un'altro di Galeno, ma perche non lo intendono, lo hanno collocato frà gli Spurij di galeno, come che tra gli detti Spurij di Galeno, come che tra gli detti Spurij non siano di belle & amp; buone dottrine, & amp; pure questo di Galeno è conforme a quello d'Hippocrate trasportato nella lingua Latina dal Conciliatore Pietro d'Abano: ma che diranno questi tali? vorranno essi forse opporre a quell'altro di Arnaldo di Villa Nova, che pur anch'esso n'ha descritto uno? overo al Sacro Concilio di Trento, il quale admette l'Astrologia nell'agricoltura, nella navigatione, & amp; nella medicina? non sono tenuti gli studiosi di Medicina, a studiar prima Filosofia? & amp; se lo studiano, non hanno essi letto in Aristotele, che nel primo & amp; principio delle Metheore dice: Necesse est mundum hunc inferiorem supernis lationibus esse continuum, ut omnis eius utrius unde gubernatur. Et se così è, come è veramente, & amp; come affermano tanti savij, & amp; il predetto sacro Concilio, & amp; essi Medici per lo più non fanno, & amp; intendono Astrologia, come faranno a darci le medicine,e trarci il sangue delle vene, non intendendo questi termini? fù un Medico, & amp; è vivo, assai riputato nella nostra Città, ch'alli mesi passati volse far trar sangue ad una giovine da marito contro alla constitutione delCielo, & amp; voler mio, che glielo protestai con gravi parole; dicendo egli, che tra un'hora & amp; meza sarebbe guarita, & amp; io contendendo, che tra questo spacio sarebbe morta, & amp; la sera la sepellirebbono, in fine glilo face trare: & amp; tra l'hora & amp; meza passò all'altro mondo: Onde il giorno seguente, essendomi con esso incontrato, le dissi, Ben Messere, che dite hora, è pur morta quella infelice giovine per vostra cagione; & amp; esso mi rispose, ella è stata una disgratia: disgratia, gli risposi io, è stata la sua a capitar'alle mani vostre, che sete un'ignorante, & amp; non volete creder a chì sà più di voi. Il buon Medico chinò il capo, & amp; seguitò il suo camino. Io per riparar alli disordini, che di continuo nvedo in questi nostri Medici, vi pregai che vi lasciaste far Proveditore, & amp; voi me lo prometteste; ma havendoci fatto la Città Curiale, ci hanno guasto il disegno.

CUR. Se volete alla creatione del novo Proveditore, metterò voi in scrutinio, & amp; cosi faremo il disegno nostro.

ZEF. Il caso è, che restassi, perche sapete il procedere di molti maligni, de' quali altri per la parentela che tengono con molti di questi Medici, che mi vogliono poco bene, altri per guastar'una buona opera, & amp; abbassar l'altrui reputatione, me la potrebbono acoccare: & amp; poi sapete, che da molti anni in quà, non ho mai voluto ufficio publico, & amp; stò anco per andar'a Roma, per certi miei negotij particolari, che mi premono, ma spero pur'in Dio, ch'un giorno farò qualche bene, & amp; quando non possi far'altrimenti, ne scriverò un trattato, & amp; lo darò fuori in stampa, & amp; forse sarà meglio per beneficio universale del mondo.

CUR. Io credo che questo sarà il meglio che possiate fare; però che se Padova, & amp; Bologna, & amp; le altre Città l'acettaranno, havete vinto la vostra: & amp; i Medici di Verona si arrenderanno, & amp; voi haverete conseguito i desiderij communi senza battaglia.

ZEF. Hora io voglio scoprirvi un'altro & amp; importantissimo secreto; & amp; è questo, che non è Medico in Verona, nè forse in Italia, nè in Europa, nè in tutto il mondo che sappia dare od ordinare la decottione del Legno Santo, della salsa Pariglia, nè della China: & amp; di più tutti i siroppi, & amp; usuali bevande delle Speciarie sono una brraria, una corruttione & amp; contaminatione delle virtù medicinali; & amp; non parlo solo di quelli che hora vivono, mà di quelli ancora che sono morti, & amp; ne hanno lasciate le dottrine a questi miseri erranti, che si chiamano, & amp; intitolano con nome di Medici Rationali; & amp; voi sapete che rarissimi sono gli infermi, a' quali i Medici non ordinino li siroppi & amp; bevande: le decottioni poi del legno Santo, & amp; salsa Pariglia, paiono hoggidì tanto introdotte a tante sorti d'infermità da questi moderni, che sarebbe pur bene saperle ordinare, come si converrebbe.

CUR. Dite da vero, che sono tutti in errore?

ZEF. Come se dico da vero; egli è così vero, come voi sete il Signor Curio Bolderi, & amp; io Zefiriele, & amp; già Tomaso Bovio.

CUR. Di gratia non vi aggravi, sapendole ordinar voi, & amp; amministrarle, il rivelar al mondo questa cosi importante cosa per beneficio universale.

ZEF. Questo è tutto il mio scopo, & amp; la mia mira & amp; intentione: ma per manifestarvi questo cosi grave errore, & amp; questa così grassa ignoranza commune del passato & amp; presente secolo, vorrei saper prima da voi, se pigliaste un sacco di farina, & amp; ne burrattaste fuori otto quarte, & amp; di quelle ne faceste pane, poi burattando il rimanente, ne cavaste le altre quattro quarte, & amp; ne faceste pane separato, qual pane sarebbe migliore, quello delle quattro vittime, ò quello delle otto prime?

CUR. Oh chi non lo saprebbe dire: la scassa, & amp; i Zerli di piazza lo chiariscono; che la scassa è del fiore, & amp; delle prime otto, & amp; i Zerli del fondo & amp; delle quattro, il quale per essere più grave alla digestione, & amp; a minor prezzo, è comperato dalla povertà.

ZEF. Et se voi pigliaste un carro di uva, & amp; prima mostasse leggermente, & amp; serbaste quel vino in un vase, & amp; poi lo finiste di mostare, & amp; metteste il secondo in altro vase, qual vino sarebbe il migliore?

CUR. Eh caro Signor Zefiriele, voi mi dimandate certe cose, che paiono indegne di voi; chi non sà che il primo sarebbe migliore?

ZEF. Di gratia Signor Curio sopportate anco quest'altra: Se voi pigliaste tante rose quante basterebbono per far tre libre d'acqua, & amp; quelle poneste a lambicco, & amp; pigliaste ogni libra da per se, quale sarebbe migliore, la prima, ò la seconda,ò purla terza libra?

CUR. La cosa è chiara; la prima sarebbe la più perfetta, la seconda meno, & amp; la terza, la peggiore.

ZEF. Non v'incresca vi prego anche quest'altra, ch'ogni cosa tornerà a nostro proposito; Voi sapete far l'acqua di vita, & amp; sò che l'havete fatta più volte per vostro diporto; se mettete dieci libre di vino a lambicco, quanta acqua di vita cavate dalla prima sublimatione?

CUR. Intorno a tre libre.

ZEF. Estratte le tre libre, quel vino che resta, che cosa è?

CUR. Al colore è il medesimo; ma lo spirito è passato, & amp; non ha più gusto di vino, & amp; credo anco, che poco vaglia nel resto.

ZEF. Hora se così è, come è veramente, per qual cagione questi Medici fanno essalare, & amp; lasciano perder'otto libre d'acqua, di dodici che se ne pongono sopra il legno, ò salsa pariglia, & amp; serbano le ultime quattro, & amp; le danno per medicina a loro infermi? Quelle otto che vanno in fumo (secondo la confessione vostra) della farina, dell'acqua rosa, dell'uva, & amp; del vino, da cui cavare l'acqua di vita, sono il meglio, & amp; la sperdono, & amp; le ultime quattro che sono, si può dir la feccia, sono date alli poveri patienti per medicina: rispondetemi hora a queste ragioni vive per viva prova, & amp; viva isperienza: Questa cosa la fanno tutti gli Speciali, nè si puote ad essi darne colpa, ma si bene a i Medici, i quali cosi scrivono, & amp; ordinano senza voler saperne, ò intenderne, & amp; misurar le cose con ragione.

CUR. Voi havete talmente concluso, che convengo con esso voi confessar ciò essere la pura verità. O povero nostro secolo, ò poveri infermi in mano di cui sete voi?

ZEF. Oh egli non è errore solo di questo secolo, ma de' passati ancora: Io mi maraviglio assai che Arnaldo di Villa Nova huomo grande, che fù coetaneo di Pietro d'Abano, che per sua dottrina acquistò il titolo di Conciliatore, & amp; di Raimondo Lullo, al quale Raimondo dicono Arnaldo haver insegnato di fare quel tanto bramato, & amp; cercato Lapis de' Filosofi [Pietra filosofale], ch'essendo così gran Filosofo, non vedesse questo fallo; & amp; esso tuttavia vi precipitasse, & amp; iscrivesse il precipitio a gli altri. Non parlo qui di Arnaldo, ò Raimondo per causa della Salsa Pariglia, ò Legno Santo, che al tempo loro non vi erano in questi paesi; ma ragiono in generale de' siropi usuali, & amp; decotti nelle Speciarie, i quali tutti si fanno con poco dissimile metro, & amp; regola; & amp; questi siropi, & amp; decotti sono così ordinati anco dalli predetti: Voi sapete, che non è Medico che non dia siropi, & amp; non è infermo, che non ne riceva; pure sono fatti nella istessa maniera: quel che vi aggiungono, è mele, ò zuccaro: & amp; si credono serbar la possanza, & amp; virtù in questo mele, & amp; zuccaro? sono ciancie (Signore), sono canzoni queste, non intendono il negotio. Pigliano herbe, fiori, frutti, semi, & amp; quelle cose che più lor piacciono, & amp; le decuocono, & amp; ne fanno la espressione, poi congiungono quello con mele, ò zuccaro, & amp; tornano a cuocer'ogni cosa insieme: & amp; in questo modo facendo, lasciano essalar la bontà, & amp; serbano, si può dir cosi, l'escremento, & amp; la feccia d'ogni cosa, & amp; con tale bevanda vogliono poi dar la sanità, & amp; ristorar gli spiriti a i corpi nostri con i corpi mortificati, & amp; privati de gli spiriti loro? S'io grido dunque, & amp; strepito, & amp; dico ch'essi non la intendono; dicono, il Bovio hà una lingua che taglia, & amp; passa i termini della modestia, contro il debito, & amp; officio del viver civile: & amp; io soglio risponder loro, che essi passano i termini della carità, & amp; amazzano gli huomini, che gli chiamano in aiuto, gli pagano, & amp; pongono la sua vita nelle mani, & amp; nella fede loro, & amp; essi gli uccidono.

CUR. Che si ha da far dunque, se tutti i Medici caminano per questa strada, & amp; fanno, & amp; ordinano l'acque della Salsa Pariglia, del legno Santo, siropi; e tutte l'altre bevande & amp; decottioni per questo verso?

ZEF. Si hò da corregger & amp; emendar'il falso, & amp; pigliar miglior camino alla salute commune. Io per me faccio il men male che posso, & amp; lo voglio scrivere, & amp; far stampare a beneficio universale, & amp; mi rendo certo, che molti apriranno gli occhi, & amp; vi porranno più consideratione nell'avenire. De i nostri qui in Verona non hò dubbio alcuno, che i Medici Gualtieri, & amp; Ridolfi hora Priore del Collegio, i quali non si sdegnano d'imparare, & amp; hanno qualche cognitione della sublimatione, & amp; separatione delli elementi, mediante il lambicco, non si siano per arrendersi, & amp; venire nella opinion mia, perche mi hanno sempre amato, & amp; honorato, & amp; fatto sempre capitale delle opinioni mie?

CUR. Voi vi guadagnate una statua sù la nostra piazza, se ridrizzate l'arte del medicare? che per quanto m'aveggio dalle vostre vive ragioni & amp; prove, è disperata.

ZEF. Io mi contento delle gratie & amp; doni, che mi hà fatto vedere il mio Creatore preparatimi in Cielo, per quando gli piacerà di chiamarmi a se, che di queste vanità tengo io poco conto.

CUR. Egli è vero; mà se i nostri Cittadini gratia i compatrioti loro ne hanno fatto a Catullo, a macro, a Plinio, a Vitruvio, al Fracastoro & amp; ad altri, che non hanno poi scritto, parlando de' due primi, cose, che senza esse il mondo non potesse esser stato bene; perche non a voi, che pur havete descritti cosi belli Heroici, cosi alte profonde, nuove, & amp; inusitate dottrine; se per qualche rispetto non le havete anco date alle stampe? Frà quali è quella della Dispositione, ordine, & amp; providenza divina, delle intelligenze celesti. & amp; come gli huomini possin trovar, & amp; conoscer sotto quali precedenze Angeliche siano retti, et custoditi, con ragioni tanto vive, che non è che vi possa opporre.

ZEF. Queste non sono opere mie, sono doni speciali che mi ha concesso la gran bontà del Signor Iddio doppo molti lunghi et efficacissimi preghi, il quale mai non manca d'aiutar et favorir chì lo invoca di buon cuore con ferma speranza di doverne riportar il voto et honesto suo desiderio: et se pur si havesse a far statue a chi se le hà per virtù guadagnate, si doverebbon fare al bisavolo vostro Messer Gerardo vecchio, il quale per la sua propria virtù et valore meritò dal Senato Veneto per publico decreto che fosse chiamato Principe dei Medici del suo secolo: et certo io ho sentito già dire quando io era giovanetto, al Conte Bonifacio da San Bonifacio, vecchio huomo degno di Regni et Imperij per la bontà, et magnanimità sua, cose maravigliose, et stupende di cure disperatissime in personaggi grandi che faceva questo saggio, valoroso, et fortunatissimo vostro progenitore; et voi a gloria di quest'huomo, et honore della casa vostra dovereste procurare che la Città nostra mostrasse almen segno di memoria honorata di quest'huomo divino. Io Signor amo et honoro la memoria di lui, per il suo gran valore, et poi anche perche era amicissimo di mio bisavolo Messer Bartholomeo; et come sapete, a commune spesa fecero la capella grande di San Pietro in Carnario, ove sono l'ossa de' miei antecessori; perche farete opera degna, et voi, se procurarete che questa Città faccia alcun segno di memoria di quest'huomo sopra humano, il quale vi ha lasciato pure quei due bellissimi Palazzi ne i due siti piu belli della Città nostra, l'uno a S. Anastasia ove habitate, et l'altro a S. Fermo, dove si fa l'Academia de' Cavalieri, nel numero de' quali sete voi, et il Sig. Oratio vostro fratello, che quattro anni sono con tanto honor suo, fù il sostenitor della giostra nell'Arena. Et il Sig. Francesco vostro fratel maggiore, il quale hà fatto una riuscita molto diversa da quello, che io giudicava quando era fanciullo, essendo che pareva tutto spensierato, et simile quasi a quel Cimone del Boccaccio, che poi riuscì cosi gran Corsaro, et Capitano principale della patria sua. Cosi questo Signore nostro fratello è riuscito per lo governo della casa et famiglia sua, per le armi, & amp; maneggio della Città nostra un'huomo di valore: tal che nella tribulatione della patria nostra, il Clarissimo, & amp; degno di eterna memoria (il quale Iddio tenghi nel Cielo, poi che è partito da questa a miglior vita) essendo Bailo in Costantinopoli, il Sig. Nicolo Barbarigo, all'hora Podestà della Città nostra, che fece tanti beneficij a tutta la povertà, se lo haveva eletto per compagno a tutte le fatiche, et imprese insieme col Sig. Alfonso Morando, i quali si guadagnarono tanto credito, et riputatione appresso il commune, che da indi in quà sono sempre stati stimati, amati, et honorati da tutti. Ma di gratia, perche non entra anco l'altro fratello il Sig. Giulio in questa cosi honorata compagnia, poi che in tutte l'altre cose con tutti tre si conviene?

CUR. Egli è un poco più solitario de gli altri, e contenta starsi con le sue orationi, devotioni, et letioni de' buoni libri; et però non si cura di questo consortio: ove ci bisogna pur attender anco al maneggiar vdi cavalli, et giocar spesso d'arme, nelle quai cose egli non si compiace molto di haversi ad essercitare, come portano le leggi dell'Academia nostra.

ZEF. O Cavalier Boldiero, se foste vivo, che consolatione havereste voi vedendo gli nepoti vostri cosi bene incaminarsi. Ma per tornare al vostro bisavolo, mi raccordo, che il cavaliere mi diceva ch'un suo nipote addimandato Giovanni Andrea, studiando in padova (come occorre) ammazzò un'altro scholaro, et benche scalasse le mura la notte, nondimeno fù preso, et essendo stato condotto a Vinegia, il buon vecchio andato dinanzi a quei Signori, gli disse solo queste parole: Signori Eccellentissimi, se voi farete morire mio nipote, siate certi ch'io mi morrò seco di dolore, fate hora voi. Onde quei Signori pieni di bontà et clemenza, mossi a pietà dal grande amore che le portavano, lo liberarono, con dargli un poco di bando. Di più mi disse, che havendoglielo il gran Turco addimandato per una sua infirmità lunga, egli disse a quei Signori illustrissimi. Se voi mi mandate al gran Turco, et egli guarisca, non mi lasciarà più ritornare; et se per sorte muore, i suoi m'impalarano; di modo che in ogni maniera mi nperderete: cosi quel sapientissimo Senato determinò che restasse d'andarvi. Ma chi volesse gir recitando la gran stima che faceva quell'Eccellentissimo Senato et il mondo, di questo celeberrimo huomo, ci sarebbe che dire per un'anno, et tra tanto i poveri infermi si morirebbono; però vi dirò queste parole, et non mi stendendo più, tornaremo al proposito nostro principale.

Nicoletto nVernia Teatino, sopra il Burleo di Aristitile nelli libri de Phiso auditu, dice nella questione utrum medicina nobilior sit iure Civili.

Si cives Romani, ut Octavio Augusto gratificarentur Antonio Musae medico, cuius opera ex ancipiti morbo convaluerat, statuam aere collato iuxta signum Aesculapij statuerunt, quid nos rationales Medici, & amp; praesertim aetate nosta Medicorum Principi, & amp; integerrimo Philosopho Gerardo Bolderio Veronensi facere deberemus? certè totto terrarum orbe ipsius nomine statua aurea dicari deberet.

ma per non parere adulatore, & amp; che vi dica queste cose per compiacervi, passiamo ad altro.

CUR. Sì di gratia, & amp; non vi gravi dirmi il modo vostro della Salsa Periglia, ò Legno santo: che quantunque (Dio gratia) non habbia bisogno di questa bevanda, mi piacerà nondimeno intendere l'ordine vostro.

ZEF. Io, quando ordino Salsa Periglia, ò Legno santo, od altri siropi, faccio pigliar quelle dosi, che gli altri fanno poco più, ò meno; ma in iscambio delle dodici libre di acqua (per darvene un'essempio che basti per tutti) ve ne faccio metter solo cinque libre, & amp; meza, & amp; per lo più questa sorte di acqua che vi faccio porre, è di boragine, ò bugolosa, ò lupuli, ò altre simili: perche fanno operationi mirabili nella purificatione del sangue, & amp; faccio metter queste materie in un vaso di vetro con il suo capello, & amp; recipiente di vetro, & amp; faccio sigillar le gionture con farina, calcina sfiorata, & amp; chiara di ovo, ò cose simili, & amp; le faccio metter in bagno Maria per hore ventiquattro, facendo la sua decottione; poscia nel detto bagno crescendo il fuoco per hore sei; non però tanto che il fuoco sia eccessivo, ma quanto basti a cuocer le materie. Quel liquore che passa nel recipiente, si serba, perche egli è lo spirito de i materiali, come l'acqua di vita è lo spirito del vino: & amp; si come voi sapete, che quel vino resta una cosa persa, tratta che se ne hà l'acqua di vita, cosi queste medicine restarebbono una cosa insipide & amp; esangue, & amp; poco operarebbono chi non gli servisse, & amp; restituisce lo spirito suo: in questo distillato, se voi lo assaggierete, voi trovarete l'odore, & amp; sapore de gli ingredienti, che havevate posti per farne la decotione, & amp; in questo spirito principalmente siede la virtù, & amp; potenza operante, & amp; vivificante. Et perchè il pane fatto di tutta la farina, è più sano, & amp; più saporoso, che il fatto del sol fiore, il quale quantunque paia più delicato, non fà però così profitto, & amp; buona operatione nelli corpi nostri; lo spirito del vino, che è quello, che noi chiamiamo acqua di vita, non sarebbe a proposito per nutrirci, come è tutto il vino insieme: però io faccio colare tutta la decottione, & amp; anco spremere leggiermente, & amp; poi la faccio meschiare con lo stillato, & amp; cosi vengo a ritornare lo spirito più nobile per la distillatione, al corpo suo, & amp; questo tutto insieme uso per medicina: ma perche le materie aride vogliono tener anch'esse la parte loro della humidità, però gli faccio dar quel vantaggio di quella libra, & amp; meza di acqua: Questo ordine di far le decottioni, & amp; della Salsa Periglia, & amp; del Legno, & amp; de i siroppi, è quello che doverebbono ordinare i Medici, & amp; far li Speciali; ma nè questi lo fanno, nè quelli glielo ordinano; & amp; se si facesse, quantunque paia più spesa, sarebbe minore; però che gli infermi più presto si sanarebbono, & amp; avanzerrebono tempo alla loro salute alla spesa de' Medici, & amp; de gli Speciali; & amp; se tutti non sono atti, nè tutti i paesi sono in stato & amp; luogo di poter haver, & amp; usar vasi di vetro, s'industrijno almeno di fargli fare ò di terra cotta invetriata, od almeno di rame bene instagnato: & amp; se a me stesse il comandare, vorrei che tutti li siropi, che si fanno, & amp; si serbano per l'anno nelle Speciarie, si facessero con questo ordine, serbando gli spiriti passati per li lambicchi nelli suoi vasi ben governati, & amp; ritornandoli a i siropi di tempo in tempo secondo le occasioni, & amp; il bisogno; però che congiungendoli quando si fanno, si corromperebbono: & amp; questo sarebbe & amp; iscusarebbe per l'acque che communemente si usano da gli Speciali di borragine, endivia, betonica, & amp; simili; le quali, perche sono fatte in vasi di piombo alla grossa, non sono molto al proposito. come vi dirò poi nel progresso del nostro ragionamento. Hora havendovi detto di queste decottioni, & amp; siropi, fate conto, che vi habbia detto di ogni altra decottione fatta & amp; ordinata nelle Speciarie, & amp; certo senza ricever, & amp; serbar, & amp; misturare li spiriti con le parti sue non si farà mai cosa, che possi essere mezanamente buona, non che perfetta; & amp; quelli che guariscono per via delle ordinarie decottioni, overo hanno poco male,ò fanno più presto tregua, che pace, ò sarebbono anche sanati senza le medicine, come tanti sanno senza medicarsi. Et non sono molti giorni, che ragionado io di questi miei ordini col predetto Messer Francesco Calzolario, mi rispose; Le ragioni vostre paiono & amp; buone, & amp; vere; ma l'uso è in contrario; però vedete ciò che fate. Io, che mi appago della ragione, & amp; ne haveva fatto fare ad altri Speciali, come a Messer Vittore dell'Angelo Rafaele, a M. Bernardino della Torre al Castel vecchio, & amp; altri, gli soggiunsi; Vi chiarirò con la prima occasione, la quale ben tosto mi nacque, però che Monsignor Olibono, ch'era condotto a termine di più non potersi muovere nel letto, senza gagliardo aiuto, essendo egli nelle mani dell'Eccellentissimo Fumanello suo cugino, & amp; mio amico amorevole, mi venne in cura, consentendo a ciò il detto Medico, & amp; dicendogli di più che non pur sperava, ma teneva per certo che si sarebbe risanato sotto la cura mia, come poi successe con mirabile felicità & amp; maraviglia dell'infermo, dell'Eccellentissimo Fumanello, & amp; di esso M. Francesco artefice delle medicine: & amp; fatto che fù sano, m'addimandò poi detto Fumanello, onde avveniva, che le sue erano parute medicine mortali, & amp; le mie cure erano state così salutari: gli risposi, lo scriverò a commune beneficio, & amp; allhora lo saprete, & amp; non prima. Et questo voglio, che per hora basti d'intorno alla materia di queste bevande; però che chi hà orecchie, & amp; giudicio, la puote & amp; debbe intendere.

Hora io mi allontano anco in altro da questi nostri Medici ordinarij quì di Verona, & amp; di Genova, & amp; Savona; però che non havendo io conversato con altri, od'altre Città, & amp; non havendo ricercati li suoi ordini, non voglio, nè debbo ragionar di loro, & amp; ciò è nelli profumi; però che, a tutti quelli che io medico si di mal Francese, come di altre infirmità causate da humidità, ò per sciatiche, ò gotte, et dolore artetici, che sono tutte sorelle, et nate d'una medesima madre, et indispositione cattarale, dò profumi, et faccio sudare; ma molto differentemente dal commune uso delle Città dette. Et la inventione mia è la vera, et legittima, et quella di questi, è una mera peste de' corpi: et voi ne havete veduto la prova in casa vostra con il danno, per non dir la ruina di chi fù profumato: nel qual proposito voglio raccontarvi ciò che mi avenne questa estate passata; ol che è, che alcuni Monachi di S. Nazario, che come sapete, sono dell'Ordine di San Benedetto, mi chiamarono alla cura d'essi, quantunque il Valdagno, et Dionisio fussero i loro Medici ordinarij, et io mi adoperai talmente con quelli, che rimasero tutti ben satisfatti di me, tra quali fù Don Athanasio, che si trovava con la sciatica grande, & amp; fastidiosa. Questo buon padre mi pregò che volessi cura di un'artista suo amico nominato Giulio Merzaro, che dimorava poco discosto dal loro Monasterio: era questo povero giovine stato medicato per mal Francese da certi Medici, che io per loro honore non voglio nominare; & amp; allhora si sentiva peggio che mai, onde io interrogatolo diligentemente, trovai che già dieci anni esso haveva trovato certi caroli, & amp; ne era stato curato, & amp; guarito; & amp; per sette anni dopò, non ne haveva sentito altro fastidio: & amp; da tre anni in quà si era talmente aggravato, che un dì volendo esso andar dalla sua casa alla piazza, gli convenne fermarsi in San Tomaso, & amp; fare il medesimo nel ritorno per fiacchezza. Ben gli diss'io, ti è mai piovuto adosso, & amp; non ti sei mutato di panni, si che l'acqua ti sia penetrata nella vita? Signor sì, diss'egli, & amp; sono introno a tre anni, che venendo io da Legnano, mi bagnai grandemente, & amp; tenni quell'acqua adosso più di sei hore. Questo le soggiunsi, è dunque il tuo male, & amp; non il mal Francese: & amp; se li tuoi Medici ti hanno medicato per tale, si sono abusati ne' loro giudicij; ma non si fermò quivi il loro errore, che vennero in opinione, che pratticando con la moglie, ella dovesse parimente essere infetta, quantunque non si sentisse gravezza alcuna, si che per fare più i sacenti, volsero medicar anco la misera & amp; infelice donna, & amp; di grassa & amp; morbida che era, divenne come una lucertola, perdendo la sua propria somiglianza. Hora io purgai questo giovine con brevi purgationi fatte in casa sua; poi lo feci sudare per cinque mattine in un vassello da vino col capo fuori, all'ultimo delle quali doppo l'haver sudato, desinato che hebbe con tre altri suoi compagni se ne andò a merenda per suo diporto alla casa de Capri, distante sette miglia da casa sua, & amp; tornò anco a cena alla Città, et per gratia del Signor'Iddio, restò libera del mal Francese, che non haveva mai havuto. Di questi errori che fanno questi nostri Eccellenti Medici,et d'altri infiniti, ve ne potrei fare lunghissime historie; et sono tali, che in vece di premio, sariano veramente degni di severissimi castighi.

Ma notate di gratia quest'altra sceleratezza.

Usano questi nostri valent'huomini, poi che hanno curato uno di questi sfortunati per mal Francese; far fabricare un camarino di tavole benissimo chiuso, da un canto del quale fanno porre un vase di rame, ch'esca con una bocca fuori del camerino per cacciarli fuoco, et un caminetto che porge fuori del camerino, acciò n'eschi la vampa del fuoco. In questo pongono a sedere lo sfortunato per sudare, cacciando fuoco in questo vaso di rame: poi crescendo il fuoco, et affocandosi l'aria rinchiusa senza respiratione, il poverello si và arrostendo, o cocendo, tanto che suda, & amp; parte di questo sudore è forza che si converta in aria grossa. Hor, io stò considerando se questa operatione si fà per cacciarne la infettione di questo corpo infetto, et ammorbato, ò no? Quivi non mi risponderanno altro, se non che lo fanno certamente a questo fine: il che se è, se io gli ricercassi dove habbia l'uscita l'essalatione infetta, ch'esce di quel corpo in sudore & amp; spirito, non veggo che potesse rispondermisi altro, se non ch'ivi si condensa & amp; muore.

Deh semplici che sete, questo aere condensato & amp; corrotto, hor non è egli tratto per lo naso al cervello, & amp; per la bocca nel polmone da questo vostro infermo, a cui dite di procurar la salute? Voi dunque cavate la infettione della carne in sudore da questo sfortunato per ricacciargliela a i membri principali interiori, & amp; volete che guarisca? Oh Dio buono, oh Dio grande, oh Dio immortale & amp; incomprensibile; che scelerità, che ribalderia, che beccaria inaudita è quest?

Gl'infelici vi pagano, vi donano, & amp; pongono la vita loro nelle man vostre, acciò gli conduciate a sanità & amp; voi contra ogni debito di conscienza, gli ammorbate, & amp; infettate in questa maniera?

Ma veniamo ad un'altra cura di questa anco peggiore.

Usano altri per stuffa certi padiglioncelli, sopra i quali carboni gettano cinaprio con un pco di cera, od altra materia per meglio ingannargli: & amp; quivi condutto il mal giunto infermo, lo profumano,ò per dir meglio, lo attossicano perche in vece di ritornargli alla sanità, gl'infettano di magligne ulcere nella gola.

Ah scelerati, & amp; ribelli di Dio che cosa altro è il cinaprio, se non solfere & amp; argento vivo decotti insieme, & amp; voi con simil tossico procurate di sanar gli huomini; & amp; i Prencipi & amp; i Signori del mondo vi sopportano?

Ma questi difetti tanto notabili non provengono d'altronde, che da peccati che regnano sopra la terra: conciosia che habbiamo nelle sacre lettere, che Propter peccata populi, Deus dat Medicos malos. Talche per simili può ben dirsi Domine Deus misericors patiens, & amp; multae miserationis, ignosce illis, quia nesciunt quid faciunt.

Queste (Signor Curio mio honorato) sono ignoranze tanto crasse, sono errori tanto mortali, & amp; biasimevoli che non si possono con ragione alcuna difendere.

CUR. Veramente, per quanto io posso giudicare, questi non mi paiono altro, che abusi di mera ignoranza; perche non saprei mai persuadermi, che si trovassero huomini tanto scelerati, che facessero queste beccarie per malitia.

ZEF. Io ho inteso, che li Medici Padovani hanno trovato certo loro ordine di far sudare nel letto stando gli huomini a giacere, & amp; questo è men male, ma non è però in tutto bene, perche cosi giacendo il sudore bagna loro il lenzuolo di sotto, sopra cui giacciono, & amp; non è bene per quella parte che viene ad esser offesa da questa essalatione ammorbata. Però è pur più tolerabile de gli altri.

CUR. Et come fate voi le vostre stuffe.

ZEF. Io piglio una di queste nostre meze botte da vino, che tengono mezo carro,ò poco più, & amp; vi faccio levar i fondi; appresso la quale accommodo uno scanno tanto alto da terra che sedendovi sopra una persona, la testa avanzi essa botte, & amp; sotto il detto scanno metto un catino con carboni accesi, poi fattovi seder sopra l'infermo in camiscia, fò levar la botte a due,ò tre persone, & amp; levatala sopra la testa di lui, quella si posa in terra; il che fatto traggesi la camiscia al patiente, & amp; gettatasi una coltre sopra l'orlo della botte, accioche non cada sopra le spalle dell'infetto è sostenuta nel mezo da due piccioli legni fermati sopra d'essa botte: cosi stando il patiente con la testa fuori lo faccio sudar'a mia discretione due terzi in tre quarti d'hora; & amp; quest'ordine io servo per tanti giorni, per quanti mi pare ch'esso infermo sia istato conforme al bisogno suo, & amp; desiderio mio: perche in ciò non si può darregola alcuna.

CUR. Ho inteso benissimo quanto havete detto: ma vorrei ben'intender'appresso qualche altra cosa intornoa questo effetto.

ZEF. Io sono prontissimo per sodisfarvene, ma parte delle cose, ch'io son per aggiungere alle già dette, hò lasciato di dirle, perche voi da voi istesso le havreste avertite & amp; fatte quando vi fosse occorso sudare per questa invention mia, ò consigliar'altri a farlo; & amp; queste sono il far seder l'infermo sopra un cuscino, perche egli stia più agiato, & amp; il mettere un pezzo d'asse appoggiata a i pie dello scanno tra il fuoco, & amp; i ventricoli delle gambe, accioche non sieno offesi da esso fuoco, il quale, perche non si ammorzi cosi presto per starsi rinchiuso, si fa nella botte a lui dirimpetto un buco grande come il pollice della mano. Et in caso, che'l patiente habbia in modo da spendere, et sia in istato di mal poter sedere sopra un scanno, si può fare un cassone (come già feci al Reverendissimo Monsignor Delfino Vescovo della Canea per cagione delle gotte) & amp; seder sopra una catedra con ogni commodità: nè quì è d'avertir altro, fuori che'l carbone non sia troppo, perche presto affogherebbe; nè cosi poco, perche non basterebbe ad operar quanto sia di bisogno: appresso staremo avisati, che all'infermo non venga qualche isvenimento per soverchio calore di fuoco, overo per poca animosità di colui, & amp; di tale ambascia sarà vero inditio il battimento del cuore, & amp; il salir de' fumi allo stomaco, alla testa, ne' quai casi levasi presto la coperta, & amp; ispruzzarsi nel viso dell'appassionato, aceto, acqua rosa, overo acqua comune, & amp; lui si mette a riposar nel letto: di questi accidenti me ne sono avvenuti rarissimi quando io ci sono stato presente, ma in assenza mia qualcuno ne hà patito senza mia colpa. Voglio anco dirvi, che innanzi al metter della coltre, ò altra coperta sopra labotte, vi si debba gettar un lenzuolo, & amp; levarà essa coltre, il detto lenzuolo gli serve immantinente per sciugatoio, & amp; ad un tratto ricupre la nudità d'esso infermo, si come aiuta ancora intorno al collo aben ghider'entro l'aere caldo, & amp; insieme che i profumi non si perdino, & amp; operino maggiormente; de' quai profumi io mi sono addietro scordato di dirvi, che si prende un poco d'Incenso, di Storace calamita, di Bengiono, & amp; di Mirra, ò parte di tai cose, & amp; il tutto incorporato insieme, quel si dà all'infermo; il quale subito essendogli stati gettati & amp; chiusi i panni di sopra, tenendo solamente fuori la testa (come s'è detto) si china un poco, & amp; da se stesso va gettando con una mano i detti profumi sopra il fuoco, i quali non solamente levano le male qualità de gli spiriti corrotti, che escono del corpo infetto, ma con il loro odore & amp; virtù confortano & amp; corroborano i corpi de' patienti: ove all'incontro il rame, l'argento vivo, & amp; il solfere fanno mille male operationi, & amp; sono causa di mille accidenti, secondo le nature de gli afflitti.

Nel qual proposito mi giova dirvi quello che m'avvenne in Savona già dieci anni, che mi trovai colà, dove medicai il Priore dei Frati di Santo Agostino di una sua infermità di sette anni, & amp; per gratia del Signore Iddio si risanò benissimo.

Hora il caso fù questo, che lavando il Bottigliere di detti Frati le bottiglie da servire a tener il vino in fresca l'estate, le quali erano di rame, & amp; furono stagnate, quando nuove le fecero, ma la lunghezza del tempo haveva portato, che il vino haveva roso lo stagno, trovò che cadeva fuori d'esse del verderame.

Di che detto Bottigliere maravigliato, ne fece motto al Priore, il quale con lui andò ad un'Orefice, & amp; glielo mostrò: l'Orefice gli disse che quello era verderame, & amp; essi gli dissero il caso delle bottiglie.

Il Priore mandò per esse, & amp; le ruppe tutte, & amp; trovatele piene dentro di questa diabolica materia, conobbe allhora, la cagione perche ogni anno li Frati, che andavano a satr in quel Monasterio, s'infermavano & amp; morivano: onde ogni anno conveniva mandarvi nuova famiglia.

Io per me, quando son'amalato di qualche giorno, non posso sentire che mi si scaldi il letto con istromento di rame, pensate hora voi come la passino i poveri infermi stando rinchiusi in una prigione tra la essalatione ramigna, & amp; il sudore putrido, & amp; corrotto che egli esce del corpo infetto, & amp; ammorbato: par'egli a voi che questo sia un medicare, come quelli Medici dicono, canonicamente?

CUR. In buona fede, Signor Zefiriele, queste cose, & amp; queste ragioni che voi dite, sono tanto conformi all'intelletto mio, che non posso se non dire, che chì sentirà contro di voi, haverà la ragione depravata, contaminata, et corrotta.

ZEF. Ecci (scrive ancora il BOVIO) un'altra setta tra questi Medici rationali, tra quali è il nostro Fracastoro celeberrimo e grandissimo Poeta, ma non molto eccellente Medico, che ungono i miserabili infermi con argento vivo siperso tra la sugna del porco, et fanno venir lor male in bocca, crollar i denti, marcir le gingive et il palato, et uscir da gli occhi, palato, naso, et bocca li torrenti d'humori putridi, catarri corrotti, et bave angosciose, tenendogli chiusi in un camerino ben picciolo et fetente: et si vantano di far una grande, et bella operatione: levano l'appetito, il gusto, et il sonno a gl'infermi, et dicono, che si risaneranno, et dfe i cento ne muoiono li novanta, et li dieci restano perpetuamente infetti, et ammorbati. O giustitia di Dio, Quis haec potest videre, quis potest pati.

S'io fossi Papa, scommunicarei tutti quelli che camminassero per queste strade, et s'io fossi Principe seculare, gli darei tal castigo, che sarebbono essempio à gli altri.

Li Giudici impiccano un sciagurato che haverà rubato un'asino, et lasciano vivi questi carnefici peggio di mille assassini da strada, che uccidono chi si fida in loro, et getta nelle mani.

CUR. Egli pur pare, che sia commune opinione, che l'argento vivo, sia la vera medicina del mal Francese.

ZEF. Il commune errore, non fà che l'errore non sia errore, ma fà che l'errore sia sopportabile, nè da punire in persona idiota; mà in persona scientifica, et in professore di scienza,et dottrina, par'a me peccato il non dargli castigo. L'argento vivo è medicina esteriore sì, ma però corretta per quei modi che sò far'io, et tanti altri che sanno quanto me, et più di me. Ma cacciar l'argento vivo in fumo per lo naso et bocca, non s'intende medicina esteriore, ma interiore, et alli membri principali al cervello, et al polmone, et al petto; che è impossibile, che non descendi giù per la gola sino nel fundo del ventriculo.

CUR. Il vostro Hercole non è egli composto d'argento vivo, et pur lo date per bocca?

ZEF. Tutti li metalli sono composti di argento vivo, ma sono mortificate nelle minere et ridotti in metalli; et il mio Hercole è mortificato con l'oro, et con li spiriti del sale, che sono usciti del vitriolo, et salnitro, et con la lunga decottione di tre mesi di fuoco, et è poca quantità, et corretta poi con tante cose nobili et eccellenti, che se fosse arsenico, non offenderebbe: lo fa Messer Francesco Calzolari Speciale alla Campana d'oro, che ha veduto dar'il precipitato in peso di tre in quattro grani secondo Gio. di Vico a Franciosati con broze, e piaghe, et doglie di gionture invecchiate, et far miracoli, et ve ne farà sede, che è medicina, et medicina sicura: ma l'usarlo, come ho detto che l'usano questi nostri Medici, è veneno; et il darlo, come soglio dar io, fà mirabili effetti; et sò di haverne dato a più di sei cento persone,et non mai operò male alcuno. La Theriaca non si fa ella con la carne della vipera, et con la scilla? et non però attossicano, ma resistono alli veneni. Hò fatto ancor'io precipitato, et sublimato di mia mano tante volte, et ne ho composti Unguenti & amp; Ceroti per sanar piaghe di mal Francese, & amp; carnosità nella verga, che è più, & amp; mi sono riusciti eccellentissimi; ma gli ho fatti in modo, che assicuro le mie partite. Gli bisogna saper lambiccare, & amp; separar'gli elementi, conoscer li metalli, i mezi minerali, i sali, gli allumi, & amp; i bitumi, & amp; altri secreti della Natura chì vuol far'il Medico. Mi raccordo io haver veduto un Medico su la piazza di Brescia, che non conosceva gli Cardoni dalla Endivi: hor vedete se questi tali sono huomini a' quali possiamo commetter la vita nostra in cura. Hanno costume questi nostri Medici, tosto che son chiamati ad un'infermo, d'usar'il Recipe Cassia noviter extracta dram. dieci, con dir, verrò questa sera a veder l'operationi, se però l'infermo sarà ricco; ma se sia huomo di mezana conditione, il Recipe Lenitivi, in luogo di Cassia, che gli Speciali non possono vendere per essere di mala conditione, alla quale aggiungono cose, che non occorre ch'io ve lo dica, non essendo di vostra professione. Non dico già che tutti gli Speciali facciano questo; ma ce ne sono molti, che lo fanno.

ma tornando a Medici, il giorno seguente ritornano dall'infermo con il Barbiere, nè mirando a dispositione alcuna del Cielo ò buona, ò rea, gli fanno trar quattro ò cinque oncie di sangue. Seguono la cura poi con siropi usuali, & amp; poscia una medicina di manna con l'infusione del Rhabarbaro: se guarisce, bene stà: se nò, tornano a nuova purgatione, dando da mangiar all'infermo un poco di panatella senza sale, & amp; un poco d'acqua cotta, & amp; passa cantando: tra tanto denari & amp; presenti non mancano alla sua eccellenza. O bontà di Dio, & amp; che gente è questa da rapina, che la tua tanta benignità comporta che viva, & amp; regni? Non sono molti giorni, che un Speciale della nostra Città, mio amicissimo, mi disse, ch'in una sola mattina gli erano capitate tredici ricette per tredici infermi di diverse case di mano d'un sol Medico, & amp; era belli famosi, & amp; tutte tredici contenevano una sola ricetta: che ve ne pare Signor Curio? dicendo io questa cosa ad'un altro Speciale, mi rispose, ch'egli non era un gran fatto; & amp; che anco ad esso ve n'erano capitate in una sola mattina sin'al numero di ventidue nel medesimo modo. Bene, par'egli a voi, Signor Curio, che possa essere che tanti amalati sieno d'una medesima complessione, & amp; d'una medesima qualità, & amp; conditione; poi che a tutti danno le medesime medicine?

CUR. A me pare veramente, che siamo a mal partito, ma non lodate voi la dieta a gli amalati?

ZEF. A me pare, che il porre un poco di freno alla bocca di un'infermo per due,ò tre giorni non sia male: ma s'egli è solito a ber vino, & amp; mangiar bene, il levargli l'uno, & amp; l'altro, & amp; in loro vece dargli acqua cotta, & amp; panatella senza tale, par'a me peccato, od'ignoranaza tale del Medico, che meriti più tosto pena, che correttione; nonche premio,ò guiderdone. Io non mi credo, che Hippocrate, Galeno, Esculapio, nè Apolline istesso, inventor'della medicina, sapessero dedurmi mai tante ragioni, che potessero quietarmi a questi loro ordini. Di che l'altro giorno una buona donna mi raccontò un'historia d'un suo compadre Medico, & amp; d'una sua Commadre moglie del Medico: & amp; il caso fu questo.

Erasi la moglie del Medico risentita un poco, il buon marito la tenne per tre pasti leggiera, & amp; al quarto cibo le portò una buona zuppa Francese, & amp; un buon cappone innanzi, facendogli buon'animo al nutrirsi: la semplice donna, volta al marito, disse: Io mi credeva marito, che mi amaste come io amo voi; ma a quello che mi avedo, desiderate ben presto la mia morte, poiche cosi lautamente mi trattate: il marito le disse,ò pazza, chi vuol vivere, & amp; usscir presto di letto sano convien far così. Ben, disse, la donna, non fate già così alle altre inferme, segno & amp; testimonio chiaro, che poco mi amate. O buona donna, dissele il Medico, se io facessi cosi con gli altri amalati, noi moriressimo di fame: è forza far cosi, chi vuol guadagnar denari, & amp; riputatione; in somma la Commadre mangiò, & amp; bevè, & amp; presto risanò.

CUR. Per quanto mi aveggio, voi non sete punto amico della dieta, & amp; pure tutti gli Medici ordinarij constituiscono la dieta a' loro infermi.

ZEF. Dunque vi credete, Signor Curio, che lo affamar gl'infermi, si chiami dieta? Io non la chiamo dieta questa, ma inedia; & amp; la inedia non è dieta, secondo la dottrina mia: dieta chiamo io un viver'honesto, ordinario, quanto basta a nutrire una persona, secondo la qualità sua, che giaccia nel letto senza essercitio; & amp; perche gli essempij meglio chiariscono, vi dirò che a questi giorni feci con Gierosimo mio fratello, il quale i nostri Medici dicevano, ch'io l'havrei condotto a morte. Egli, come sapete è grande, & amp; di buona carne, & amp; mangia bene, & amp; beve buon vino, & amp; per suo ordinario fà grandissimo essercitio, & amp; non è giorno, che non camini dodici, & amp; sedici miglia a piedi, perche così vuole: hora per questi molti suoi essercitij, (ch'io chiamo fatiche) gli venne una febbre gagliardissima di maligna, & amp; pessima natura.

Io gli diedi il latiris, & amp; vomitò, & amp; purgò da basso: per due giorni lo tenni leggiero del cibo, ma prò non gli tolsi il vino puro come viene dalla vigna; il quarto giorno gli diedi un'altra medicina a mio modo, che lo ripurgò, & amp; spesso tra pasto gli davo dell'acqua fredda da bere, doppò la quale cacciandosi esso un dito in gola, la ritrovava a dietro con humori: poi di nuovo beveva, & amp; di nuovo rivocava: & amp; seguitai questa prattica per alquanti giorni, dandogli tra tanto cibo la panatella nel brodo di buon cappone grasso, et ben cotto, vino & amp; pistachea mattina, & amp; sera; facendogli anco fare qualche servitiale, overo dandogli pomi granati acconciati con lo elleboro negro, & amp; gli feci anco metter delle ventose sopra le spalle, & amp; sopra le natiche; talche per cinque settimane n'hebbe una buona stretta; ma per la gratia d'Iddio si sanò; & amp; quando per il bere delle acque fredde, & amp; rivocarle, se le causava alcuna ventosità nel corpo, che l'affligesse, io gli davo il mio liquore Theriacale, & amp; cessava, & amp; dormiva poi bene. Onde col mezo del vomito, & amp; delle solutioni per da basso, che gli faceva quando una, & amp; quando un'altra delle mie medicine solutive, gli cavai i mali humori del corpo; il buon vino poi, & amp; buon brodo di capponi, glie ne rimettevano di buoni: & amp; questa è la via per la quale io camino, & amp; mi riesce.

Voi conoscete il Capitano Cesare Sasso, il quale è un'huomo di persona molto ben composta, & simile al Gradasso de' Romanzi; egli haveva una fiera di malattie, & infermità prese da moltissimi accidenti, & come sapete, gli huomini militari, non mirano ad ordini,ò disordini, mangiano, bevono, dormono, vegliano, patiscono freddi, caldi, neve, pioggie, & venti, come habbiamo patiro ancor noi, quando siamo stati sù le guerre, & in campagna d'estate, & d'inverno: Hora questo Capitano con indispositione di febre, di doglie di capo, doglie di gionture, non senza qualche mistione Gallica, per quanto egli si credeva, haveva stanchi sette de principali Medici nella nostra Città, & ultimamente si era ridotto nelle mani di Valdagno, & correva il quinto mese, che si reggeva sotto la sua cura; del qual tempo haveva perduto il mangiare, il bere, & il sonno, talmente ch'erano forse ottanta giorni, che non haveva dormito ottanta hore, per quanto egli diceva. Trovandosi l'infelice a cotal termine ridotto, mandò per me, & mi disse; Signor Eccellente, mi vien riferto, che voi sete un'huomo fiero, & che in pochi giorni vi liberate dalli vostri amalati; però vi prego, che vivo,ò morto mi caviate di questo letto, acciò io non resti più in simili tormenti, & pene. Io prima gli dissi, che mi contentava d'esser chiamato da lui Eccellente; ma dopò ch'io l'havessi guarito: poi lo domandai de gli ordini, & delle cure che gli erano state usate da questi suoi Eccellenti, il che havendomi esso raccontato, mi parve un miracolo, ch'esso fosse campato tanto, massimamente per queste loro diete. Et gli dissi, state allegro, ch'io con l'aiuto di Dio vi liberarò presto, & sano di questo letto: mandate in piazza a comperar' un paio di caponi grassi, & buoni, una caraffa di malvagia garba, della pignoccata,ò pistachea, come più aggrada a' vostro gusto. Gli diedi frà tanto il mio Hercole, con un'ovo fresco, & nel termine di due hore vomitò grandissima quantità di mali humori, & cacciò da basso assai robba fetente. Questi humori erano quelli che gettavano a terra la sua natura, & non si potevano evacuare con queste sue diete; ma conveniva cacciargli fuori del corpo: gli diedi del brodo consumato di cappone, & un poco di pistachea da masticare, & lo portai alla sera, & poi gli feci fare una suppa nella malvagia, & una scodeletta di pesto buono pur del Cappone, & pistachea: la mattina seguente gli diedi la decottione della sena con il tartaro in brodo di cappone, & questa gli alvò, & portò da basso gli humori commossi. Lo cibai, & cominciò a gistare il cibo: lo lasciai pigliar fiato dalle evacuationi, & cibrsi con il pesto del cappone, & i confetti; talche cominciò a dormire, poi gli feci fare la decottione de gl'infrascritti semplici, che gli bastò per cinque giorni: & è tale. Si piglia sena, polipodio, epitimo, ana oncia I, elleboro negro, dramme IIIJ, fichi secchi, dattili, ana numero sei, hermodattili dramme VI, Glicirrhiza dramme IIIJ, passula pesta nel mortaio oncie IJ, anisi dramme iJ, fiori cordiali, man. J cinnamomo darmma J, acqua comune oncie XXVI, & fassi decuocer in vase di vetro con il suo capello, & recipiente, sigillate le gionture, con fuoco lentissimo per hore quattro, poi raffreddato il vaso, & colate, & spremute le materie, si raggiunge l'espressione con la parte passata nel recipiente, & vi si aggiunge oncie sette, & meza di mele rosato colato, & si divide in cinque siropi. Di questi gli ne faceva torre ogni mattina uno tepido, & digiunava per hore cinque. Questa bevanda digerisce, solve, & mondifica il corpo, & non permette, che la infettione bolla, & corrompa il sangue, & la carne, nè il composito corporale. Finiti li siropi gli diedi Siropo rosato solutivo oncie tre, Confectionis Amech oncia meza, con la decottione de' fiori, & frutti cordiali; ma tra tanto lo faceva ogni giorno nutrire con buoni brodi di pollo, con pane dentro,ò mollito,ò cotto, un poco di mmalvagia, & nel resto buon vino, carne, & pistachea, e pignoccata; lo lasciai poi riposare tre giorni dalli siropi, & medicine.

CUR. Questi vostri siropi sono un gran viluppo di cose.

ZEF. Sono certo; ma sono anco di tanta eccellenza, che chi li chiamasse siropi Santi, gli diria il suo proprio nome: giovano questi siropi a gotte, a sciatiche, a dolori artetici, a mal Francese, & a mille altri mali, ove sia copia d'humori corrotti, & che bisogni evacurli.

Questi siropi usali delle Speciarie, che non hanno evacuatione, sono bagatelle, bisogna evacuare, chi vuol sanare, & non dire, come è l'usanza di questi Medici: bisogna digerire; bisogna digerir sì, ma digerendo, evacuare; & se gli suoi Dottori hanno havuto altra opinione, salvo la gratia loro, non l'hanno intesa: cosi faccio io, & cosi debbe fare chi tiene cura dell'honore, & dell'anima sua, & delli infermi che gli si danno in preda con la vita, & con la robba. Intendetela Signor Curio.

CUR. Io v'intendo benissimo; ma ditemi, par a me, che gli Speciali dicano, che sono alcune cose, che hanno bisogno di poca decottione, come i fiori cordiali, la canella, gli anisi, & simili, i quali basta metterli nel levar dal fuoco quelle, che hanno havuto bisogno di più lunga decottione, & voi fate sù un fascio, & mettete il tutto insieme.

ZEF. Egli è vero, che lavorando gli Speciali secondo il commune uso corrente delle Speciarie, bisognerebbe far come voi dite; ma usando il capello & recipiente, con le gionture ben chiuse, si pone il tutto insieme; però che li spiriti di tutte queste cose, si raccolgono nel capello, & si risolvono in acqua & passano nel recipiente, & poi si rimettono con la decottione colata; & così si ha tutta la materia senza detrimento,ò perdita della sostanza, & virtù che ci bisogna per il caso nostro.

Hor tornando al proposito, queste evacuationi, & sostentamenti in questo modo ritornarono il sonno, & l'appetito al Capitano il quale cominciò a prevalersi assi bene: passati li tre giorni dopo l'ultima medicina, gli feci dare gl'infrascritti decotti.

Recipe salsa periglia oncie due, scorza di legno oncia una, Polipodio oncia una, Turbit dramme IIIJ, Cannella dramme IJ, acuqa commune libre cinque & meza, & insieme pongasi a cuocere in vosi di vetro con le gionture del capello, & recipiente chiuse, con fuoco lento per sei hore: fatta dappoi la decottione, & la espressione, si raggiugne quello che è passato per il capello nel recipiente con la espressione, la quale è la parte ignea: & di questi gli dava la mattina per tre hore innanzi il desinare, & la sera un'hora & meza innanzi la cena, & copriva nel letto molto bene, per il sudare a pasto buon pane, & ben cotte, buon vino, & carne arrosto per lo più, pignoccata, & pistachea a suo piacere, lasciandosi avanzare un poco di fame; & non empirsi ad satietatem. Ogni quarto giorno poi gli faceva far'un servitiale, & rimanersi da i decotti.

Il servitiale era di questa forma: si pigliava una scodella di buon brodo di carnem un torlo d'ovo, nulla di sale, & due oncie di zuccaro grosso, & esso lo teneva quanto poteva: poi lo lasciava uscire, & questo tirava a basso mille humori brutti. Io gli replicai questi decotti per cinque fiate, che sono in tutto quindici giorni di decotti, & cinque di servitiali, che fanno vinti, cinque delli primi siropi, che fanno venticinque, uno della medicina, che sono ventisei, & due per la prima medicina, & sena, che fanno fentiotto, & tre di riposo, che danno trentauno.

Finito ch'io ebbi di dargli queste medicine, senza tanti biscotti, od'acque feconde: come havete udito, lo posi a sudare per sette giorni, secondo l'ordine che tengo anco con gli altri, & rimase sano, & libero, & si fece gagliardo; né da indi in poi si hà mai sentito doglia, & incommodo alcuno, & questa è la mia strada per la quale son solito caminare per dar la salute a gl'infermi, & non come fanno questi nostri Medici di Verona, & intendo anco far gli Padoani, & Bolognesi, che gli tengono in prigione a morir di fame. Con questi,ò poco dissimili ordini, hò medicato genti infinite, huomini & donne gravide, i cui figluoli sono nati a' suoi tempi, & sono hora vivi, & sani con le madri loro, contra l'opinione, & credenza de' Medici, che me ne riprendevano, dicendo che haveria sperdere i fatti, & esse poste a pericolo della morte, & però essi sono stati bugiardi, come è manifesto in questa Città. Essendosi poi un giorno incontrato il Valdagno con questo Capitano sù la piazza, & vedutolo in si buono stato della persona, le domandò s'egli era il Capitano Cesare: & havendogli esso risposto ch'era d'esso, soggiunse il Medico: & chi vi hà medicato, che sete così in fiore? Il Capitano gli rispose: il Signor Tomaso Bovio. Il Valdagno di nuovo gli replicò: potete riferir gratie a Dio, & alla vostra buona natura, che'l Bovio suol dare medicine da uccider gli Elefanti, non che gli huomini. & se voi sete guarito, egli è un miracolo. Lodato sia di nuovo il Signore, replicò il Capitano, che sono guarito nelle mani sue, & mi moriva nelle vostre.

Indi a poco partito il Capitano, incontrò poi me sopra il Ponte novo, & mi raccontò il successo; poi seguì il suo cammino: nè era lontano venti passi, ch'io m'incontrai co'l detto Medico, & mostrandogli il Capitano cosi a dito, ch'era poco discosto, & si vedeva commodamente, l'addimandai se esso gli haveva detto la tal cosa & tale. Il Medico arrossì: pure mi confessò il vero: & poi le soggiunsi, andando verso casa trovarete un'huomo presso il Ponte Pignolo, che acconcia pelli a bianco. Ad esso hò medicato un figliuolo, una figliuola, un genero, & una nuora, ch'era gravida, & essa di pochissima complessione, piccola, & scarnetta dell'istesso male che haveva questo Capitano; & pure sono sanati, & il putto nacque al suo tempo, & sano; & non erano Elefanti questi, huomo da poco che voi sete: andate a studiare, che ne havete bisogno. Il povero Medico insaccò la piva, & andò di lungo tutto scornato, non riducendosi a memoria, che pur haveva medicato un'altro gentilhuomo, il quale esso haveva dato per morto, & dettomi, che se guariva, voleva andar sonando per tutta la Città di Verona, ch'io ero il primo Medico del Mondo, Donzellino suo collega a quella cura, disse: Ella vi è andata ben fatta, confessando la cura; ma negando il valore, & virtù datami dalla molta bontà del mio Creatore Iddio, il quale piè agentibus, donat sapientiam; la quale ò molta,ò poca che si trovi in mè, confesso non averla appresa da Avicenna,ò da Galeno, ò suoi adherenti, nè intendo, nè voglio che alcuno pensi di convincermi, allegandomi le auttorità loro.

Ma tornando al proposito del vino, & della dieta, dico che l'anno passato la moglie del detto Capitano Cesare s'infermò di una grave malatia, con una febre gagliarda, causata da un'apostema interiore, per il giudicio che io ne faceva, & il successo lo dimostrò & comprobò: Era stata questa donna nelle mani del detto Valdagno cinque settimane con le sue diete di acqua cotta, & panatella, & peggiorando la cosa, venne il detto capitano a trovarmi, & pregarmi che volessi andar'a vederla, & visitare. Onde vi andassimo insieme, & essaminata l'indispositione, le diedi una presa di Antimonio preparato a mio modo, & conforme al suo bisogno; poi gli feci cuocere un cappone grasso, & buono, & proveder di malvagia garba, & pistachea: la donna non stè molto, che cominciò a vomitare, & evacuar da basso: onde io poco appresso, le diedi una suppa nella malvagia, del brodo, & carne del cappone, & della pistachea; & il giorno seguente voleva darle un poco di decottione di gratia Dei co'l Tartaro; ma il Capitano non voleva, dicendo che la notte ancora haveva evacuato da basso tre volte. Io gli dissi; quanti soldati havete voi havuti in condotta sù la guerra? dugento, mi rispose egli: & io, soggiunsi, n'ho havuto mille è dugento, & me gli hò guadagnati, non per favori, ma con le armi in mano; però debbo io saper più di voi di militia. Quando gli nemici sono in rotta, allhora bisogna tagliarli a pezzi, & non dargli tempo di rinfrancarsi. Voi mi havete dato la cura della donna vostra, lasciatela a me; cosi le diedi la detta medicina, & fù ben fatto, che la mattina seguente andando io là per tempo, trovai il Capitano in piedi, & la moglie che sedeva su'l letto con una suppa nella malvagia in mano; la quale mi disse, hò sorbito due ovi, & hora mangio questa suppa, che mi dà la vita, ch'io moriva di fame: di che allegrandomi io, gli feci poi fare trè,ò quattro bevande con la scabiosa per l'altre mattine, & ne cacciai l'apostema rotta, & rimase libera, mangiando buoni cibi, & bevendo di un'ottimo vino, ch'io gli faceva dare della Caneva del Conte Marc'Antonio Giusto mio fedele amico & Signore, il quale ne è liberale a gl'infermi, che n'hanno bisogno.

A mia cognata Madonna Fulvia, che pur'haveva un'apostema nel ventriculo, con febre continua, io faceva bere sempre mattina & sera il primo bichiere di malvagia garba, & poi a tutto pasto del buon vin bianco, & la medicava con la decottione della scabiosa fatta co' miei ordini, & è sana quanto mai fosse in sua vita: In somma, in casa mia, & fuori, (pure ch'io non tema di mal di costa, di Erisipilla,ò squinantia,ò male, che non sia nato dall'haver bevuto troppo vino) in ogni altra infermità mai levo il vino ad alcuno solito a berlo, pur che gli piaccia.

L'anno passato, quando venne il male del Mattone, chiamato ancora del Moltone [malattia di tipo catarrale, grave forma di raffreddamento: ne parla anche Alessandro Tassoni, Le letter, a c. di G. Rossi, Bari, 1901, I,9], io & la mia famiglia fummo de' primi assaliti; onde presi per me, & diedi a gli altri la Gratiola per medicina, & feci metter'a mano sei botte di vino, due di bianco, & quattro di rosso; perche in un'istesso tempo si trovammo diecisette nel letto, & volsi, che sempre ci fosse vitello, cappone, polastri, pizzoni alessi, arrosto, in soffrito, in potacchio, & confetti in abondanza: ogniuno mangiava di quello che più gli aggradava, & per gratia di Dio si risanammo tutti; nè di noi si trovava alcuno che volesse sentir'a nominar l'acqua per temperarne il vino.

Nè da cinque anni in quà hò memoria, che sia morto alcuno ch'io habbia proseguito di medicare; & pur ne hò medicati le migliaia: & non levo il vino, nè mai uso le diete di questi vostri Medici Rationali, & siate certo, che se la mia mala ventura glie ne desse qualche occasione, mi travaglierebbono quanto più potessero per lo molto amore che mi portano. Della materia del ber vino,ò acqua, se leggerete Arnaldo di Villanova, nè commenti sopra il Regimine Salernitano, troverete, ch'egli discorre a lungo, & dice di molte ragioni, conchiudendo in somma, che l'acqua debilita la natura gagliarda, & distrugge la quasi persa: & il vino all'incontro restaura la perduta, & conserva la sana.

Hora vedete, come io posso lodare l'operatione di questi nostri Medici, li quali levano il vino a gl'infermi, & gli danno l'acqua? volendoci in questa maniera far credere tutto l'opposito di quello, che ci farebbe bisogno; il che non posso persuadermi che naschi da altra cagione, che da mera avaritia & tirannide,ò da viva, & pura ignoranza, degna di grave castigo, ò almeno d'avvertimento, & di correttione gagliarda.

CUR. In fatti, io vedo che voi gli havete in una buona consideratione, & gli portate una gran riverenza.

ZEF. Io non disamo alcuno di loro; anzi ne hò molti per amici; ma detesto & biasimo la dottrina & setta loro, & se potessi in molte parti la distruggerei.

Io per intender le cause, & essaminar il perche delle infermità, studio ordinariamente Arnaldo di Villanova, il quale riferisce le opinioni d'Hippocrate, Galeno, di Avicenna, & altri: appresso dice le sue, & pone i medicamenti; & la approbo per lo più, ma nel far le decottioni poi, & siropi, tengo l'ordine mio, & nel dietare & nutrire, servo pure quanto voi vedete & i8ntendete: esso è stato un valenth'uomo, ma non ha saputo, nè inteso ogni cosa; siamo tutti huomini, & come huomini siamo sottoposti ad errare: questo dottissimo huomo ha trattato dell'antimonio, & del modo di darlo a gli Epilentici; & io lo dò alcuna volta; ma pare, che molti di questi Medici lo dannino; il che certo non fanno per altro, se non perche non ne hanno cognitione; che se l'havessero, non lo dannerebbono: l'ignoranza è madre di molti vitij & errori; & per lo più loro compagnia & guida. L'anno passato, quando il Signor Fabio Oliveto Cavaliere di molto valore, & bontà, cadè Epilentico, tronai a caso nella Città nel tempo del suo accidente, & trovai che per ordine de' Medici, il gentilissimo Signor Tolomeo suo fratello, il quale per il dolore stava peggio di lui, gli teneva sopra il capo una stoppaccia imbevuta in aceto, acqua rosa, & chiara di ovi; il che io acremente biasimai, dicendogli, che lo medicava di diretto all'opposito della ragione; percioche conveniva aprirsi le porrosità, & dar'essalatione all'humore, & non serrar, & chiuder'il nemico in casa; del che mi rispondeva, & attestava, che cosi gli havevano ordinato li Medici. Io replicai; le loro eccellenze hanno preso un granchio; & accioche si avegghino della loro ignoranza,io, tosto che sarò giunto a casa, vi mandarò un libro, & sarà Arnaldo: & le carte che in esso vederete piegate, & segnate, lo mostrarete a' vostri Medici: il che havendo io fatto, & i Medici vedutolo, si ritrarono dal loro errore: ma tra tanto il povero gentil'huomo n'ebbe una stretta: io gli dissi, che le medicine al suo proposito sariano state il Castoreo, & entro l'Antimonio, & lo elleboro negro, raccolto però al suo tempo; il che anco fù approbato da i Medici di padova, quando amendue essi fratelli andarono a consultare il suo bisogno: & essendosi poi informati da me del tempo, & giorno atto a coglierlo, ne fecero cavar'un sacco, & me ne mandarono la parte mia della quale poi mi sono servito con beneficio di molti.

Voi havete detto, cge deste l'Antimonio alla Signora Camilla moglie di detto Capitano; questo Antimonio, che i nostri Medici non hanno per medicamento molto ragionevole si dà egli semplice, ò preparato?

ZEF. Vi dirò quello, che mi occorse a questo proposito in Genova; poi risponderò alla vostra domanda.

Si trovava in quella città un certo Medicone di pelo rosso, che cavalcava un cavallo bianco; & quanto giudicai, egli sapeva tanto di medicina, quanto il suo cavallo. Quest'huomaccio mi conosceva per vista, & sapeva che io medicava, & che in molte occasioni mi serviva di questo benedetto Antimonio; ma non haveva altra dimestichezza meco.

Hora occorse, che il giorno di San Giacomo, si trovammo per sorte in casa del Signor Nicolò Spinola Garofolo, (così le donne chiamavano quel gentilhuomo per la sua bellezza, & l'odore della sua bontà) & dissemi questo Medico: sono alcuni medici maligni, & ignoranti, che non danno l'Antimonio per medicina. Si deve dunque dare (diss'egli) l'Antimonio? Io pure credeva di nò, replicò egli, & io, dissi che sapeva di si, & lo davo quando mi occorreva con felicissima fortuna. Poi gli soggiunsi; Ditemi Magnifico, conoscete voi li sali, gli allumi, i bitumi, i mezi minerali, & i minerali? Esso mi rispose di nò: & io le replicai: Conoscete voi l'Antimonio? non io, disse egli. Et io: Voi dunque senza la cognitione delle cose, usate vendervi per Medico in questa Città? per mia fe, che meritareste un grave castigo: & come fate voi ad ordinare, & commodare molte medicine, nelle quali entrano assai di queste cose, non ne havendo cognitione? Io per me, diss'egli, mi rapporto a i libri, & a gli Speciali; nè miro a tante cose. Et io gli dissi; non commando, nè mai ordino medicina che non cososca il quid, quale, & quantum. Oh soggiunse egli, io non voglio saper tante cose; io lascio a gli Speciali la cura di quello, che si spetta d'essi; basta a me ordinargli secondo, che mi scrivono i miei libri: & cosi dicendo non sapeva l'animale, che molte volte gli auttori pigliano de' granchi: & ben spesso tolgono l'una per l'altra cosa: di che ne habbiamo infiniti essempij; oltre che, vi sono de gli Speciali, che bene spesso mettono un quid pro quo, & non conoscono il quid, nè il quo: & in questo mezo la roba, & la vita de' poveri infermi se ne và verso il fine.

Ne conobbi un'altro, che haveva il cognome Consequens rei il quale diede un grano di Centurea ad un suo infermo, che poi per sua dapocaggine morì, al quale io dissi: Se voi gli haveste dato un grano di arsenico,ò di sublimato haverestolo voi morto? Signor nò, mi rispose esso. Et io gli dissi: voi giudicate, che un grano di mezo minerale non lo ammazzi, & volete poi che un grano di vegetabile lo salvi? quindi tratto di giusto sdegno, gli dissi un carico di villanie.

CUR. Che differenza è questa che voi dite. Un grano di vegetabile, & un grano di mezo minerale? I minerali, & i mezi minerali, non sono eglino vegetabili?

ZEF. Per quanto io mi aveggo, bisogna ch'io vi mostri li fondamenti della Medicina, accioche meglio la intendiate.

La medicina tutta è fondata sopra tre basi; l'una è chiamata vegetabile, l'altra animale, & la terza minerale, sotto la quale si comprende anco il mezo minerale.

Vegetabili dunque si dimandano quelle sostanze, che si cavano dalle herbe, alberi, radici, scorze. foglie, fiori, frutte, gomme, & sughi.

Animali sono quelle si cavano da huomini, bestie, pesci, uccelli, serpi, & in somma da ciò che hà anima rationale, od'irrationale.

& Minerali, quelle che si cavano dalle viscere de' Monti come Oro, argento, rame, ferro, piombo, stagno, argento vivo, solfere, allumi, vitrioli, sali, marchesite, & in somma tutte le cose che di questa natura, ò simile sono, nella quale anco si contengono le pietre, & terre medicinali, come l'ocrea, terra Lemnia, & simili.

De' vegetabili, la medicina si serve principalmente nello spirito, secondariamente de' sughi, terzo delle gomme che è la parte ignea, quarto de' Sali.

De gli animali riceve i grassi, i sughi, le pelli, gli ossi, & simili.

De Minerali principalmente si serve della parte terrestre interiormente, & de gli spiriti esteriormente; perche questi per l'acutezza, & fumosità loro grave, per lo più sarebbono venenosi, & mortali, dandoli per bocca; perciò vi hò detto, & replico che erano i Medici nel dar le decottioni lunghe, con l'essalatione della parte più nobile de gli spiriti svaniti, & perciò nell'acqua del legno, salsa Periglia, & qualunque altro vegetabile, fanno peccato gravissimo, facendone essalar la parte più nobile, & dando la più grossa per medicina. & se il Monardes Dottore, & Medico honestamente dotto, & altri Spagnuoli, con tutti gli antichi, & Moderni, & tutto'il Mondo insieme ha detto, scritto, & insegnato altrimenti, tutti in particolare, & generale, si sono abusati, si abusano, & si abusaranno. Io per me l'ho detto, lo dico, & dirò sempre, che questo è un'errore detestabile; & perchè l'hò conosciuto, hò voluto publicarlo al mondo contro l'opinione di molti, che volevano persuadermi a tenerlo secreto, come cosa pretiosa. Io, come vi ho detto di sopra, serbo la parte spirituale, mediante il capello, & recipiente; poi congiungo l'una con l'altra, & le dò a' miei infermi: & però questi che io medico, si risanano più presto, & di sanità più perfetta, come giornalmente si è potuto vedere dalle mie cure, & dalle migliaia de' medicati da me, che vivi & sani, sono trombe delle opere che hà fatte Dio nelle loro persone con il ministerio della persona, & consigli miei.

CUR. Voi mia havete, Signor Zefiriele mio honorato, chiarito di molte cose, che per non essere mia professione, non intendeva, & mi havete anco acceso di desiderio di sapere il modo con il quale voi preparate il vostro antimonio; però che mi vien detto, che voi l'usate spesso, & che date maggior quantità del vostro, che gli altri del loro; però vi piacerà darmi satisfatione nel dirmi la vostra preparatione.

ZEF. La cagione, che io dò più del mio, che gli altri non fanno, nasce, perche gli caccio fuori più la parte spirituale, ch'è quella che vi hò detto, che tien del venenoso; ma il mio non è diafano come quello de gli Speciali, a me basta, che mi serva, & sia buono; di quella diafanità non tengo io conto alcuno. Lo sò fare diafanissimo, & bello ancor io, & di quanti colori mi è in piacere; ma perche questo non importa a gli amalati, lo preparo al modo mio, & è tale.

Io tolgo una libra di Antimonio, & lo faccio pestare, & sedaciare; poi piglio onze tre di salnitro bianco & bello, purgato dalla sua grassezza, & gli mescolo, & congiungo insieme, poi gli pongo in un tegame di terra cotta, ma non vetriata, & gli faccio sotto fuoco con carboni accesi, tal che il fuoco da se salta nella materia, & il tutto si abbruscia, & ben spesso il tegame si spezza dalla furia del fuoco; lo cavo di poi fuori, & lo trituro, & pongo in nuovo tegame con carboni sotto bene accesi, & ben spesso lo vò mescolando con un ferro, acciò che il solfere adurente, & il Mercurio non fisso se ne svaporino; perche se ne amassa, quello che si và amassando, lo levo, & di nuovo trituro, & cosi vo seguitando fino che resti polvere pianco, & più non si amassi, nè più si attacchi al fondo del tegame, ma il tutto resti come cenere bianca: come io l'ho condotto in questo termine, & che standovi sopra con il naso, non si sente più essalatione alcuna che vi offenda, allhora poi aggiungo un poco di Antimonio crudo polverizzato, & il tutto pongo in un corezzuolo, & cuopro con un pezzo di terra cotta, & lo luto, & fondo a buon fuoco con mantici: poi gli levo il coperchio, & lo getto sopra un marmore,ò catino di terra invetriata: poi lo vado rivedendo,e se vi trovo qualche poco di lucido, lo getto via, perche è quell'Antimonio crudo, che gli haveva giunto per renderlo più facile alla fusione, & mi riesce mirabile.

Questo magisterio tutto, suol venirmi fatto al più in venti hore: & questo è il mio solito Antimonio, di cui ne dò per il manco dieci grani, che da indi in giù non fà operatione: alli ethici non fà beneficio alcuno ch'io sappia, al mal Francese giova poco, alle altre infermità, non sò ove non giovi, & a' gottosi fà mirabile operatione: io ne hò fatto mangiar le libre, nè mai offesi alcuno.

CUR. Buona sorte è questa vostra, che mai offendiate. Sento bene spesso questo, & quello dolersi, che il tal Medico lo hà mal trattato; ma di voi non hò mai sentito alcuno che si dolga, ò quereli.

ZEF. Io vi dirò Signore, io non medico per mercantia, ò per farmi ricco delle altrui calamità, & miserie; ma quello che io faccio (lo sà Iddio perscrutatore de' nostri cuori) lo faccio per mera carità, & puro beneficio del prossimo. Ma non voglio restare di dirvi perche l'Antimonio sia cosi mirabile medicina.

Havete sapere, che la maggior parte delle infermità nascono da indigestioni, & crudità di humori, che si ristringono, & giacciono nel ventricolo. Questi trovandosi annessi, & fortemente colligati là entro, non si ponno cacciare con cassia,ò manna,ò simili, ma hanno di bisogno di medicina alquanto, più gagliarda, & più vehemente, & però l'Antimonio, l'Hercole, il Latiris, & la Gratiola fanno in questi casi operationi nobilissime, & eccellentissime.

Sentiva io l'altro anno, quando mi venne il mal del Moltone [o del Mattone, forma epidemica da raffreddamento], una cosa, che ascendeva alla bocca del sthomaco, la quale, perche la bocca era stretta, & quella materia era grossa, non potendo uscire, ricadeva a basso; però io presi la Gratiola, la quale scompigliò quella materia, & in modo la disgiunse, che la vomitai; ella era una colera vitellina, amara oltre modo, & uscita che fù, restai libero.

L'Hercole è medicina un poco più gagliardetta; però non l'uso così di frequente, nè con ogni persona,nè in ogni stagione, se non vedo ch'io sia quasi che tirato da necessità, ma sopra tutto avertisco nella dosa peccare più presto nel poco, che nel troppo, & cosi non si offende mai. Io di questo Hercole ne hò dato due, & tre grani a' puttini piccioli di due & tre anni per vermi, & hà fatto felicissime operationi.

L'Antimonio è men grave, & possi usare con ogni sesso, ogni età, & ogni persona: Io ne hò dato a Monachi, Monache, & a nobili di delicata complessione, nè mai mi fece vergogna.

La Gratiola, & il Latiris, sono medicine sanissime, & sicurissime, nè mai preteriscono effetto contrario al volere del Medico buono, ò del patiente; pur che non si ecceda il termine, & la dose in amministrale.

Ma certo da queste indigestioni, & humori corrotti ne nascono infiniti mali, & varie doglie di capo, al quale i vapori & fumi corrotti de' corrotti humori salgono; & questi humori non si cacciarebbono mai con quante cassie si portano di Levante; però per minorativo, ove io vegga alcuna difficoltà, sempre sono solito usar'una di queste quattro medicine, le quali non mai in tutto il tempo ch'io hò medicato, sono restate di far operationi divine. Nella peste, poi petecchie, mal di costa, mi sono valuto molte volte per minorativo del vitriolo soluto in acqua, & mele parte equali in ogni sesso, & età, & sempre con felice successo, ne' mali più facili a' poveri uso per minorativo la sena co'l tartaro meza oncia ciascuno, & a quelli che hanno il modo di spendere, uso di dargli l'estate il siropo rosato solutivo, & l'inverno la manna: cassia non diedi mai un'oncia in tutto il corso di mia vita, nè sono manco in pensiero di darne, non havendo io il Genio a questa medicina. La quale però non biasimo. Mi sono anco valuto assai, & vaglio spesso dell'Elleboro negro, il quale è un medicamento nobilissimo, & purga valorosamente il sangue, & l'humor malinconico. Et alle donne che non hanno le debite purgationi, fa ufficij mirabili, ma bisogna che l'usino almeno per trè giorni continui. Io glie ne dò nel brodo, over nel pomo, ma nel pomo opera con maggior eccellenza, & di esso ne hò fatto mangiare a' miei giorni più di sei sacchi.

Ma avertisco, & osservo quando lo faccio cavare, che è del mese di Luglio, allhora che la virtù è tornata sotto terra, e che'l giorno che si coglie, la Luna sia in aspetto felice di Giove,ò di Venere; il che in ciò mi vien fatto, perche in questo caso, & simili non miro alla miseria di quattro Carlini, per haverlo secondo il desiderio mio. Questo pongo ad essiccare all'ombra, in luogo però aperto, & sono solito di farne un medicamento in questo modo.

Piglio del vino buono, & lambiccandolo, ne cavo l'acqua di vita, & da quella ne separo la flemma; in questa poi, pongo dentro questo elleboro in vase di vetro in bagno Maria per due,ò tre giorni naturali, con il capello et recipiente, chiuse le gionture, poi lo evacuo fuori, et lo spremo, ci piglio questa espressione, et ripongo a svaporare in altro vaso simile, overo in bagno Maria, overo al Sole, fino a che mi resti la muccaggine nel fondo a modo di visco,ò pece, et questa è la parte ignea dell'Elleboro: di questo io ne dò fino al peso di uno scudo d'oro a Gottosi, ò donne, che non habbino li suoi menstrui,et ad altre infirmità, che mai nuoce, mà sempre giova. Et se ne può pigliar una, due, & tre volte la settimana, mangiandovi dietro di buoni cibi, & bevendo buoni vini secondo la qualità delle persone, & luoghi, et si piglia senza guardia, pur che si sia per tre hore almenò doppo, che si hà preso senza mangiare. Io dò anco un pomo, ò pero in questo modo. Io mondo il frutto che voglio, et gli caccio gran quantità di stecchi di queste radici d'intorno via, per ogni parte; poi gli pongo intorno una carta, et bagno in un vase d'acqua fredda, et lo pongo a cuocer sotto le ceneri del fuoco, poi lo cavo fuori, et getto via quelli stecchi, ò radici di detto Elleboro, et lo dò a mangiare con il zuccaro per tre giorni alle donne che non hanno gli suoi menstrui; et se opera, bene è; ma non operando, il seguente mese faccio il medesimo secondo gli ordini della Luna, et della donna, et se non opera, reitero il terzo mese con l'istesso ordine; nè mai mi è avvenuto, che il terzo mese non habbia conseguito il mio intento. Con questi pomi hò medicato, et si sono sanate tante infermità, che ne potrei fare un libro maggiore che non sono l'historie naturali di Plinio Secondo, cioè, che fù della famiglia de' Secondi, famiglia antica, nobile et molto populosa nelli suoi tempi nella Città nostra, per quanto se ne veggono et trovano tante sepolture et memorie et nella Città, et nel territorio nostro Veronese.

Quell'Elleboro che si usa nelle Speciarie, raccolto di Maggio, et corretto al loro uso, è una mera scempiaria da non parlarne; però lo taccio si per honore de gli Speciali, come de' Medici, et suoi libri, et Auttori, i quali, salva la loro gratia, in questa parte non l'hanno intesa; conciosia che quando fiorisce, si trova havere la virtù sua sopra, et non sotto la terra, et comincia a fiorire in queste nostre regioni Lombarde, il mese di Novembrio, et dura per tutto il mese di Maggio, et le mie donne dicasa ordinariamente ne mandano i fiori alli altari delle Chiese in iscambio di rose.

CUR. Voi sete molto amico di questo Elleboro, et per quanto io ne comprendo, lo stimate molto.

ZEF. Lo stimo ragionevolmente; perche esso è medicina nobile, et nasce tra noi, et non è di spessa, et fà operationi incredibili in molte sorti di febre; et perche come hò detto, purga l'humor melanconico, et il sangue.

Nè minor stima faccio dell'altre mie due medicine il Latiri, et la Gratiola; percioche oltre che solvono et purgano, et rilevano da molti mali, sono anco nostre famigliari, et nascono tra noi, nè occorre mandar in paesi stranieri per haverle, con metter gli huomini a rischio della vita, et privarci del nostro oro et argento per haverle.

La Gratiola nasce ne' miei horti, et in quelli che hanno commercio con fontane.

Il Latiri nasce nelli horti, et case, et in ogni luogo ove si semina.

Della prima io non nè do più che meza dramma in polvere, et in decottione da una dramma in polvere, et in decottione da una dramma, in una e meza, et le faccio dare tre, ò quattro bollori con il tartaro delle botti: et del secondo; quando è in fiore, io lo pesto, et spremo, poi condensando il suo succo all'aere coperto, ne dò al peso di un scropolo, in meza drama, ogni giorno sciolto nel brodo senza altro, et questo in iscambio di siropi elleborini; et ne hò conseguito le cure del mal Francese, con gli altri miei decotti fatti secondo i miei discorsi dettivi di sopra, con mia grandissima consolatione.

Et questi benedetti semplici sono creati dalla divina bontà per li poveri, che non hanno danari da spendere, et per salute de i ricchi a sanrgli presto: ma è aversaria, et nemica capitale di quei Medici, et Speciali, che sono rapaci, avari, et nemici della carità, et privi dell'amor del prossimo de' quali ne conosco io parecchi.

Ma voglio raccontarvi un bel caso avenuto già tre anni ad un'amico mio in Colognese circa questa medicina,et fù vero. Havevano i famigliari di casa di questo mio amico, nomato Messer Antonio Stopano, scaldato il forno, per porvi a cuocer'il pane, et havevano purgato il forno con un fascio di quest'herba, della quale anco ne havevano brusciato dentro nel fino un sassetto, poi infornarono il pane, et cotta che fù, mangiandosi, mosse il corpo a tutta la famiglia, talche fino che hebbero pane, si purgarono senza guadagno di Medici, nè di Speciali: il medesimo avenne a certi suoi amici, che gli capitarono a casa, et a certi loro vicini, a' quali prestarono di questo pane; il che hò voluto dirvi, accioche sappiate, che senza la scammonea potressimo far medicine virtuosissime per purgarci di questa ne dò io quindeci grani communemente, ò scorticati, ò pestati con zuccaro rosato, od'in compagnia di coriandoli di meza coperta, et opera assai meglio che non fanno la cassia, ò manna, ò lenitivi, et pur l'anno prossimo passato feci rimaner meravigliate tutte le Monache di San Spirito, et il Medico loro Giuliaro, il quale havendone lasciata per morta una di esse nomata Suor Lucia Lavezuola, et detto alle Monache, che provedessero di sepellirla, havendomi esse riferto questo pronostico, io che mi trovavo havere di questa mirabile medicina adosso, come che per ordinario ne porti sempre un vaseto pieno nella scarsella, ne diedi loro, che glie ne dessero, affermandogli che la povera Monacha riceverebbe giovamento, così glie la diedero, e gli scaricò una grandissima quantità di robba fetentissima del corpo, et si sanò di quella infirmità. Et perche l'Abbadessa mi mandò a dire, che la materia, ch'era uscita fuori, putiva sì ch'infettava tutto il Monasterio, io gli feci porre molti bicchieri d'acqua rosa per lo Monastero con entro cannella, et garoffoli, con un poco di bragie di fuoco sotto, acciò bollissero: in questo modo si scacciò il fetore, et vi si introdusse odore assai grato et soave: et questo mio felice successo, fece rimaner'il Medico scornato, et deriso del suo falso giudicio.

Queste medicine, Signor Curio, sono tali, che si posssono, et si debbono usare da noi, perche ci conoscono, et nascono nelle regioni, et paesi nostri.

Et se Hippocrate, Galeno, Avicenna, & altri, hanno descritto altri modi, & altre medicine, erano di altri paesi, & lontani da noi: Hippocrate fù dell'Arcipelago, Galeno del paese di Troia, Avicenna fù Arabo, noi siamo Italiani, & Veronesi, nè posso, nè voglio darmi a credere, che il Signor Dio habbia prodotte le medicine in Soria, in Egitto, in Arabia, & che gli huomini d'Italia, Spagna e Francia habbiano carico, se si ammalano, di mandare, ò andar per medicine in così lontani, & stranieri paesi: le medicine, delle quali voglio valermi, nascono nelli nostri paesi; & se mi direte: Tù dai pure la salsa periglia, & il legno Santo, che vengono di più lontane regioni.

Io vi rispondo d'haver anco medicato molti con il Rosmarino, con la Savina, con il Giunipero, con la Smilace spinosa, & simili, con felice successo, & satisfatione de gl'infermi, & mia; & si sanaranno anco de gli altri, quando si vorranno servire di questi, ò altri semplici simili virtuosi, che nascono tra noi: ma si trovano alcuni goffi, sì Medici, come infermi, che se non usano questo abuso di medicine straniere, par a quelli di non essere Medici, & a questi di non esser ben medicati.

Io per me, quando hò avuto di quelli che si sono posti nelle mie mani, senza voler saper'altro, gli hò medicati con le dette medicine, & le cure mie sono passate con felicità: ma oltre di ciò, conviene anco star amici con gli Speciali, altramente le cose vanno peggio che male, perche dicono del Medico quello che loro porta la passione.

Hora io voglio dirvi un'altra mia inventione, & è cosa maravigliosa per tutti quelli che hanno gli stomachi di mala digestione, & è altro che elettuarij di humoristi, ò quinta essenza del Mattioli.

Ma avertite, che io ve la voglio dire così alla grossa, come hò anco fatto molte altre cose, le quali però sono tutte buone, & fanno gli ufficij, & operationi, che vi hò detto, pur essendo io per gratia del Signor Dio, quello che sono, sò far'assai meglio, quando voglio.

Questo nuovo pensiero è, che faccio l'acqua di vita in vasi di vetro di buon vino, & in una libra & meza di questa acqua, pongo un'oncia di Theriaca ottima, & pure in vasi di vetro con capello, & recipiente di vetro, & ben chiuse le gionture, & disgiungo li vetri, & declino il vase, ove è la Theriaca, & se è passata acqua di vita, gliela accompagno; ma avertisco nella declinatione di lasciar'adietro la parte grossa dellaTheriaca. Et questa è una delle mie medicine dettevi di sopra, & chi usarà di questa per quindeci, venti, & trenta giorni ogni mattina un cucchiaro a digiuno, si prepari pure della robba assai da mangiare, che vi so dir'io non occorrerà cercar intingoli per eccitar l'appetito, & se mangiasse un'Indiotto, lo digerirebbe, et farebbe una digestione da struzzo; & tutte le infermità, che nascessero da crudità di stomaco, se n'adrebbono, come fumo al vento. Io ne hò sempre in casa per ogni accidente, & questa bevanda è mirabile a fianchi, & ventosità di qual si voglia sorte nelli corpi nostri.

Et se uno havesse preso medicina, che troppo solvesse il corpo, dandogli di questa bevanda ò sola, ò in brodo, ò in buon vino, non è da dubitare che non quieta ogni ruina, & travaglio.

CUR. A me pare, che voi habbiate una opinione molto contraria a i Medici; perche io gli hò sempre sentiti biasimare l'acqua di vita, chiamandola essi acqua di morte, & voi la commendate tanto.

ZEF. I Medici hanno ragione, & l'hò ancor io: ma bisogna saper, & intender quello che pochi di loro intendono. Io gl'intendo, & quando essi & voi saprete il perche, & voi & essi vi quietarete l'animo, & direte che con ragione io laudo questo mio trovato.

L'acqua di vita, che ordinariamente vendono in piazza, si fanno di vini guasti, et in vasi di rame, i quali se una volta, quando si fanno, s'instagnano, per lo più, & sempre poi, dal lungo uso, & continua ascensione delle acque, si distagnano; & se voi pigliarete una libra, ò due di quest'acqua di vita, a questo modo fatta, & la farete ripassare in vase di vetro, trovarete giù nel fondo un cerchietto verdiccio del rame corroso; & giù nel fondo un polverino a modo di cenere, & sarà lo stagno, & questi sono gli veneni che uccidono, tal che non è maraviglia, se gli Medici la chiamano acqua di morte: oltre che per esser fatta di vini guasti, & corrotti, non può se non malamente operare.

Ma se sarà di vini buoni, & in vasi di vetro, ella sarà mero spirito del vino, che vivificarà i corpi de gli huomini, & se gli accompagnarete gli ingredienti Theriacali, & spiritualati, pensate voi co'l giudicio & intelletto vostro saggio, ciò che operaranno. Io mi ricordo nel principio, che cominciai ad usare questa cosa, che fù al tempo dell'ultimo sospetto, & peste, io vidi opere, che a gli altri parevano miracolose.

CUR. Io ho inteso che Messer Francesco Calzolari Speciale alla Campana, fà una quinta essenza Teriacle, secondo la dottrina del Matthioli, che fà operationi stupende, & che l'Eccellentissimo Signor Sforza Pallavicino se ne esere, & pare a sua eccellenza haver la vita da questo medicamento.

ZEF. Questa prima essenza non hà comparatione con questa, perche quella si passa in lambicco per bagno di Maria, che è fuoco di primo grado, per il quale non ascende mai salvo che ò l'acqua,ò l'aere delle materie, che si stillano; perche, secondo la diversità delle cose, ascende quando questo, & quando quella: nella Teriaca entrano carne, grassi, olij, gomme, & altre cose, & di queste dette, non ponno ascendere per bagno Maria le sostanze, ma sola una certa aura di spiritello ben debole, che non ha forza, nè sufficienza; ma nel modo mio voi havete i veri sughi di tutte quattro, & questi separati dalle parti grosse terrestre, delle quali non ne havemo bisogno nelle nostre occorrenze.

Io sò anco far questo mio liquore molto più nobile, & incomparabilmente eccellentissimo; ma il mondo non è degno che io glie lo dica, nè iscriva, nè meno gli riveli, come sò anco meglio fare, & preparar il mio Hercole, & l'Antimonio, che non hò detto, non volendo io publicare questi cosi profondi, & quasi divini misterij a gli huomini, che non ne sono capaci: & se pure ve n'è alcuno, che lo meritasse Iddio benedetto per sua bontà, potrà rivelarglielo come hà fatto à me.

Al tempo della peste, ne feci per me stesso di quella, che veramente si poteva dir'eccellente, & ne pigliava spesso, non perche io havessi halcun male; ma perche andando, come faceva, senza rispetto, in ogni luogo, non me ne venisse.

Occorse doppo li detti sospetti, che messer Giovanni di Murari fece rages con alcuni suoi amici, che gli capitarono di Francia in Fiandra a casa, % essendosegli ristretto il corpo, si far non sò che medicina per evacuarsi; ma quella operò tanto, che fù in pericolo di morire: onde havendo mandato per me, gli diedi un poco di questa mia medicina in un poco di brodo di pollo, & subito si acquietò, & dormì per un'hora & meza; la notte seguente stette meglio; & in somma fù salvo: il rimanente di quella consumai in varie persone, nè più ancora n'ho fatto di quella eccellenza, basta che quello che io ho detto così alla grossa, è in ogni modo eccellente in molte infermità, & per ridurre gli stomachi deboli a potenza di buona digestione.

CUR. Et che invidia è questa vostra di non ne voler fare, nè mostrar altrui di farla?

ZEF. Il mostrare con parole altrui è una difficoltà grande per causa de' fuochi, & fornelli, calcinationi, sublimationi, putrefattioni, & digestioni, delle quali, chì non è ben essercitato, ci sarebbe che fare, & che dire prima che l'huomo vi si accomodasse a farsi patrone di cosi nobile magisterio.

Il farla poi non torna il conto; perche molte persone si trovano con poca discretione, & dicono (se altrui gli dice il suo costo & valore) che l'huomo tiene del Cerettano, & procura di fargli stare, come già disse un'altro amico mio, che ricuperai da morte con Hercole mio nobilissimo, ch'io gli havevo dato una pillola, che valeva un soldo, & non considerava, che quando anco fosse valsa solo un soldo, di morto lo haveva vivificato: ne anco si vergognano molti a venir'a diimandarmene per gran mercè; tal che dandone io hoggi a questo una, & dimani a quello un'altra, in capo dell'anno giungono alle centinaia, nè a questo modo posso vedere il conto della spesa fatta: & ci sono stati de' Medici che me n'hanno addimandato fino ad un centinaio ad un tratto per non haver occasione di tornarci ogni giorno, però non voglio farne più, & massimamente, che in quanto alla virtù loro siano istimate molto; & a me, oltra, le fatiche lunghe costano molti denari, & voglio tener'a memoria quel detto di catone, che dice Quum labor in danno est, mortalis crescit egestas.

CUR. Bene istà, quando voi farete per voi medesimo, vi metterò ancor'io la parte mia, & vi piacerà farne per me ancora.

ZEF. Quando vorrete, che ne facciamo per amendue, io vi mostrarò tutto l'ordine, & il magisterio, acciò voi ancora lo impariate, se havete desiderio di saperlo.

Ma perche vi vanno de i giorni, & delle settimane, & visono molti punti essentiali, andaremmo a starvi al Bovo per due mesi, & quivi lo faremo.

CUR. O al Bovo, overo à Torbio, perche quell'aere, & quel paese è più solatitio, & ha più bella prospettiva, per essere in monte.

ZEF. Sia co'l nome del Signore, non sarà tra noi contese del luogo, se per l'istesso modo si cavassero le virtù, & potenze di molti altri belli medicamenti, che hanno fatto, descritto, & ordinato molti Medici antichi, & moderni, si farebbono miracoli in terra: ma questi nostri Medici da Verona, et quelli anco di Genova ove sono stato introno acinque anni, si sono ridotti a tre pignatte, & di queste si servono in tutte le infermità, & in tutte le persone, & ad ogni età, & quasi ad ogni stagione.

CUR. Io non v'intendo: che cosa vuol dire queste tre pignatte.

ZEF. Vuol dire, che quantunque sieno moltissime medicine ordinate da gran Medici, & bene intendenti, questi nostri Medici si sono ridotti a si poche, che basta alli Speciali haver il Lenitivo, il Diacatholicon con il Diansinicon, il Confectionis Amech, lo elettuario de succo rosarum, & poco altro più; però chiamo queste tre pignate, guardivi Iddio di amalarvi, & pregatelo che ve la mandi buona; ma in ogni caso & accidente non vi lasciate ridurre a panatella nell'acqua, & acqua cotta: passari li tre giorni, da mal di costa e squinantia in poi, gli ordino buon cibo et buona bevanda, non però quantità: ma quello che a me par che basti per nutrire, cacciando gli humori cattivi del corpo con medicine ordinarie, et quotidiane: et se i Medici volessero tener'altro stile, protestategli, che cosi facciano, ò cangiateli.

Io sempre servo quest'ordine, et mi riesce a bene.

Ma voglio dirvi ciò che mi avenne con un bottegaio qui su la Brà.

Haveva quest'huomo il mal di costa, et lunedì mattina innanzi terza, si era posto nel letto.

Io fui chiamato il Venerdì dopò desinare, ove essendo andato, trovai che'l pover'huomo haveva il rocho, & una gran febre.

Onde io presi intorno a tre oncie di acqua bollente, & tre di mele, & mescedai, & vi posi dentro una dramma di vitriolo Romano, poi sciolsi con un cocchiaro, & glie lo diedi a bere con molta difficoltà.

Questa bevanda lo fece vomitare, & tossire fuori l'apostema, & io gli feci cuocer una buona gallina, et dipoi quattro hore in circa, gli diedi una buona scodella di quel brodo.

La seguente mattina gli diedi un pomo cotto con incenso, et d'indi a tre hore del brodo predetto con pane amollito entro; la sera panatella nell'istesso brodo; la mattina seguente poi un'altro pomo pur cotto con l'incenso: onde il pover'huomo senza altra spesa ne guarì, et al presente si trova sana quanto mai fosse. Io hò servato, et servo sempre quell'ordine, quando io son chiamato.

Primieramente procuro di evacuare con medicine gagliardotte, et nutrire con cibi, et bevande di sostanza: et in questa maniera scaccio il male, et sostento la natura.

Questi nostri Medici, quando sono chiamati, fanno tutto il rovescio, perche gli fanno far una cura, od'un servitialetto, et dicono staremo vedendo, ma levano al pover'huomo il nutrimento, et gli ordinano panatella,et acqua cotta; il male cresce, et la natura manca, et i miseri, confidando nel Medico, tendono alla declinatione; et egli per parere di far qualche cosa, gli ordina due,ò tre oncie di manna, la qual manna è ogni altra cosa che manna, lo sò io,et lo sanno gli huomini, che vogliono saperlo: poi cinque siropi di Cicorea,ò di Boragine, indi una medicinetta il male è tutto forte, la natura oppressa, chiamano Collegio de' suoi colligati,et confederati, i quali tutti laudano ciò che hà fatto,et ordinato la sua eccellenza; et in somma, si accordano di dargli un cocchiaro di mele rosato,ò di ossimele, ò fargli un servitiale con meza oncia di benedetta, ò di specie di Iera: chiama il notaio, addimanda il prete, et il misero se ne passa all'altra vita per colpa et difetto di questi ribelli di natura.

Questi sono i nostri Medici valent'huomeni, et tenuti per semidei dalla nostra mal condotta Città, de' quali uno de' primarij mi riprese un giorno, dicendomi, che doverei andar'un poco più agiato nelle mie cure, et lasciargli anco sempre un poco di reliquia per potere ritornar oer anco: onde molte volte stò pensando, et discorrendo ciò che si pensino, et credano, dicendoci il nostro Redentore Ab operibus eorum cognosceris eos.

Hanno questi valenti huomini sempre nella bocca Hppocrate, Galeno, Mesue, Dioscoride, et altri, mostragli poi l'herbe, od'altri semplici ch'entrano a far gli compositi scritti da gl'istessi loro scrittori allegati, non le conoscono: anzi non è quasi alcuno di essi che conosca la cicorea dalla lattuca, non che le specie delle cicoree. Et tra questi ne è uno, a cui dando io in mano a questi giorni un pezzo di Hippocrato, dove ragionava delle constitutioni celesti, che si hanno da osservare per horam decubitus, doppo che hebbe letto quindici, ò venti versi, disse. O queste sono le belle cose, chi le intendesse. Ma se la cosa stesse in un solo, sarebbe pur normale: quasi tutti sono mali.

CUR. Io sò che voi l'intendete, ma conoscete voi l'herbe?

ZEF. Io non ordino, ò commando mai cosa alli Speciali, ch'io non conoschi se sia herba, legno, gomma, fossile, od altro.

Vero è, che io non conosco tutte quelle cose, delle quali intendo servirmi; et sò anco li tempi, et le stagioni opportune a coglierle, et conosco le buone dalle cattive, et servo i tempi convenienti per far le medicine d'importanza, et le hore del darle, et ministrarle a i miei infermi, si che ò sieno per giovare, od'almeno non debbino nuocergli, il che se non viene poi sempre fatto secondo il disegno, disponendo altramente la prima causa, non si potrà con ragione almeno darne la colpa a me: ma di già abbiamo detto, che io non medico come essi fanno, basta che io conosco ciò che pongo in opera, et sò le virtù, et potenze delle mie medicine, et sò in che peccano, et come dar ad esse rimedio, et correggerle.

Non sono ancora tre giorni compiuti, che io hò dato il mio Hercole ad una creatura di nove mesi per causa de' vermi, et hà operato secondo il desiderio mio, et della madre sua.

Io medicai in Genova il Signor Antonio Pallavicino dalle gotte, il quale era giacciuto nel letto nove anni, et lo condussi a passeggiare tra Banchi, et San Siro per tre hore con istupore di tutta questa Città, maravigliata come un gottoso simile a lui havesse potuto risanarsi in quel modo: è vero che si lasciò reggere secondo la mia volontà, et di primo volo gli levai l'acqua et diegli il vino a bere, et discorsi le gomme de i piedi, delle mani, et delle ginocchie con sudori, et ogli di gomme, et resine stillati, in vasi di vetro.

CUR. Si possono dunque medicar le gotte, et sanar gli patienti?

ZEF. Datemi huomini ragionevoli, se io non gli medico et sano, son'indegno della vita: le gotte, le sciatiche, et i dolori artetici, essendo tutti causati da humore catarrale, come che sono, si possono sanare,ò ridur'almeno à termine, che il patiente se ne deve contentare.

Io so di haver medicato questo anno quattro che havevano le sciatiche, et gotte, che per gratia di Dio si sono risanati, et sono rimasi ben paghi dell'opera mia, bisogna in questi casi disgregar'il flusso corso, tagliar il corrente, et fortificar il ventriculo a far buona digestione, et con questo modo si sanano.

Si disgrega il flusso con ventose intorno i luoghi affetti, et con sudori secchi, ogli lambiccati, et ceroti di gomme et resine; si taglia il corrente con antimonij, ellebori negri, latiri, polipodij, ebuli, hermodattili, et simili: si fortifica il ventriculo con Theriache, et Mitridati, ò soli, ò trattenne le sostanze con acque di vita, come di sopra vi ho detto.

Ma come dianzi vi diceva, bisogna che li patienti siano ragionevoli, che per lo più sono intemperanti ò di mangiare ò di bere, ò di lussuria, ò troppo otiosi.

Io, inquanto a me, non mi parto mai dalla mensa satollo, faccio honesto essercitio, mi custodisco dalla libidine, ischifo il troppo freddo, & il soverchio caldo; & cosi mi mantengo sano: & se alcuno procurarà d'imitarmi, gl'interverrà il medesimo.

Et questo è quanto si aspetta alle occorrenze communi, perche ci sono di quelli, che sono oppressi da simili accidenti da persone scelerate & indiavolate con malie, & fatucchierie; questi non si possono medicar con medicine ordinarie; & conviene con modi oppositi procurargli la salute.

CUR. Dunque si possono far queste cose di mal trattare le persone, & indurgli infermità incurabili con stregarie?

ZEF. Si possono di vantaggio, & è pur troppo vero, & tanti Theologi & Inquisitori ne fanno fede, & io ne hò di già per gratia d'Iddio liberati molti, che da simil genti erano stati mal condotti; ma non voglio che entriamo in questi ragionamenti, che ci sarebbe che dire per dieci anni: torniamo pure a i medici.

Io, sendo in Genova, andai a visitar'un giorno il signor Nicolò Cebà de' Grimaldi, il quale haveva un poco di male ad un piedo, & li Medici venivano a visitarlo.

Io, che mi avidi per essere istato un pezzo prima con lui, che il male era nel cuore, & nel cervello, trassi la moglie della camara, & dissi.

Signora fate che questi Medici habbino cura di vostro marito, ch'egli è oppresso da humor melanconico, altrimenti morirà di questo male; & uscendo i Medici, gli dissi il medesimo, & loro instai, che gli dessero lo elleboro negro una, & più volte sin che fosse ridotto a miglior termine, ma essi non volsero mai consentire, con dire che in Genova conveniva andar con rispetto, & dargli medicine piacevoli; in somma, prima che venir nella opinione mia del medicarlo come si dovea, vollero lasciarlo perire, com'ei fece, & però vi dico, stando ne i nostri ragionamenti della lentezza, & socordia de' Medici, che molti periscono & muoiono, ò stentano per colpa, & difetto loro; & hò veduto anco questi giorni passati un povero afflitto & tormentato dalle gotte, essere medicato con siropi d'endivia, nè sò dove si habbino imparato a medicare un pituitoso, & catarroso con simili potioni: hanno nelle Speciarie questi nostri Medici certe loro vanità di siropi di lupuli, di endivia, di cicorea, & quattro,ò sei altri; & con questi pensavano curar tutte le infermità, & s'abusano, come l'isperienza quotidiana ci mostra: questi siropi ancora sono fatti a questo loro commune uso, & errore.

Io mi sono voluto alcuna volta valere di molte medicine descritte da Mesue, parte composte da lui, & parte tolti dalli suoi antenati, che sono nobilissime & eccellentissime, & non le hò mai trovate; & dimandandone io la cagione a gli Speciali, mi hanno risposto: a noi basta haverle scritte sopra i libri, i Medici non le ordinano mai; nè mai ce ne parlano.

Lo elettuario de gli Aromati, che scrive Galeno buono a tante cose, non si trova mai, se non si fà a posta: non si sà, non si vede mai la confettione di Alcremes, che pure per sorte fece l'altro giorno il nostro Calzolari alla Contessa della Mirandola: quelle del legno Aloè, dal diamusco, l'Aromatico rosato di Gabriele, il Diambra, le Gallie, le Trifere, il Dialacca, la Confettione anacardina, gli Filonij, & tante altre confettioni Theriacali virtuosissime, mercè di questi nostri Medici a' quali, perche portano le veste lunghe di raso, di damasco, & di velluto, si cava la beretta, & si dà dell'eccellenza, non già per la loro scienza, che di certo ne tengono poca; & sono certissimo, che tra loro non se ne trova uno che conosca l'ixia, ch'è una gomma viscosa, che nasce al piè del Camaleonte, della quale pure ne havemo tanta copia in Monte Baldo; anzi se farò io mentione del Camaleonte, essi stimeranno di quel brutto animale, che è simile al ramarro.

CUR. Che cosa è questo Camaleonte, che voi dite.

ZEF. Sono tre Camaleonti, uno aereo, che per altro nome si chiama Avicula dei, della cui specie ne portò già da mondo nuovo uno il Colombo, & ne hà una il nostro Calzolari, qual potrete vedere a vostra voglia.

L'altro hò detto essere simile al ramarro; è in somma un lucertone brutto & malfatto, che vive d'aria.

Il terzo che è quello, del quale intendo, è quello che volgarmente chiamiamo la Carlina.

CUR. Perche havete voi detto cosi della Ixia, & non più presto di altra cosa.

ZEF. Perche se non conoscono quelle, che trà noi nascono, & ci sono note, possiate comprendere come conosceranno le peregrine & adventitie.

Non voglio già dire, che tutti siano privi di questa cognitione; perche il Fumanello, & Guarinone ne possedono pure honesta parte.

& lo stesso Guarinone è anco dotato di tanti termini d'Astrologia, quanti bastano ad un Medico, come anco il Valdagno: nel resto a Dio, & però se gli ammalati spesso tolgono di mezo, non è maraviglia.

CUR. Voi mi havete detto, che il Calzolari hà questo uccello, desidero che lo vediamo.

ZEF. Egli non ha solo questo uccello, ma hà uno de' più belli studij di cose aromatiche, & pertinenti alla salute de gli huomini, che si trovino in Italia, & forse in Europa: vengon di lontano tanti nobili, scientifici, & Signori a vederlo, & voi che siete sì vicino, non l'havete mai veduto?

CUR. In buona fè, che io hò avuto, & hò gran torto a non haverlo mai veduto; ma hora vi prego a far'ogni opera, perche io presto possa vederlo.

ZEF. lo vederemo sempre ad ogni vostro piacere, & siate certo, che a voler vedere, & essaminar tutte le cose, che vi sono, vi andarebbe una settimana.

Ha tutte le cose ch'entrano nella Teriaca, & Mitridato, & una quantità mirabile di pietre, terre, fossili, minerali, & mezi minerali; e tra l'altre, quella pietra Giudaica, di cui parlando Dioscoride al proprio capitolo, dice, che la quantità di un cece disfatta sopra la pietra da rotare, bevuta con tré ciati di acqua calda, può provocare l'orina ritenuta, & romper la pietra nella vesica: & di queste cose per far'orinare, & far'unguenti per la carnosità, & medicarla, mi tengo valere, & saper molto.

Ma tornando al nostro Calzolari, io stimo il suo studio assai, per le tante cose, che vi hà vere, & legitime, ch'io non nomino quì, come la Terra lemina, il Bolo Armeno Orientale, il Balsamo, il Cinnamomo, il Marrum delle Indie, l'Unicorno, le Stracte, la Mirrha, l'Amomo, il Calamo odorato, il Nitro, & tanti altri, che è una cosa grande: come si facciano i giorni più lunghi, vi andaremo; che, come voi sapete, il Calzolari è gentile, & ci mostrerà il tutto con satisfatione dell'animo vostro. Quando il Signor Sforza Pallavicino viene a Verona, & che hà tempo, và a pascersi gli occhi di quella bella vista di tante & sì diverse cose naturali, & artificiali, che vi hà, oltra tanti ogli stillatitij di cannella, garofoli, noci moscate, anisi, & altri con gli proprij odori, & sapori, che è una maraviglia.

CUR. Voglio, che per ogni modo mi conduciate.

ZEF. Lo farò quando vi sarà in piacere: ma voglio che sappiate, che questi ogli hanno virtù e potenza mirabile, quantunque i Medici non gli usino.

Et io con questi hò soluto gomme nelle giunture, & in altri luoghi della persona con mirabile successo.

Ma il descrivergli, & insegnargli sarebbe un perder'il tempo, poi che in ogni modo non vogliono gli huomini porli in uso, tuttavia son son d'animo un giorno di scrivere li miei ordini della salsa periglia, legno santo, & siropi, & in somma, ciò che hoggi havemo discorso & ragionato insieme; se vedrò far qualche frutto, e che li miei dogmati & ordini siano accettati, mi risolverò di descrivere, & essequire il compimento del negotio; perche, quantunque le cose che hò detto siano belle, vere, & buone, non hanno però l'ultima loro perfettione, ove stanno li punti principali, & la vera base della medicina sopra la quale Iddio, & la Natura hanno fabricato. Et perche l'hora è tarda, & io sono aspettato altrove, convengo partirmi; però a Dio per hoggi.

CUR. Andare con la pace del Signore; ma fate di gratia, che anco dimane siamo insieme.

ZEF. Se altro non averrà di noi, procurarò di farlo: intanto state bene.


IL FINE






Zefiriele Tomaso Bovio - Opera Omnia  -  a cura de ilVignettificio  -  SITI AMICI: English Letteratura OperaOmnia

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